Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza 5 Novembre 2012, n. 18910
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE [omissis] Svolgimento del processo Con sentenza del 14.3.01 il Tribunale di Trani, sez. dist. di Andria, […]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
[omissis]
Svolgimento del processo
Con sentenza del 14.3.01 il Tribunale di Trani, sez. dist. di Andria, a conclusione del giudizio instaurato con ricorso per denunzia di nuova opera del 15.12.95 dai coniugi G.L. e L.R., cui aveva fatto seguito, con citazione del 27.5.96, la domanda possessoria, di condanna all’arretramento, con risarcimento dei danni, della costruzione realizzata dal vicino Lo.An., alla distanza legale di almeno tre metri rispetto al parapetto perimetrale del lastrico solare del fabbricato degli attori, a tutela dell’assunto esercizio della veduta verso il fondo del convenuto, ritenuto che nel caso di specie non fossero configurabili i necessari estremi dell’inspectio e della prospectio in alienum, rigettava la suddetta domanda, disattendendo altresì quelle riconvenzionali (che non mette conto menzionare, in quanto non riproposte in appello) proposte dal convenuto.
La suddetta decisione veniva confermata, con condanna degli appellanti G. – L. alle spese del grado, dalla Corte di Bari, con sentenza del 30/3 – 28/4/05, ribadendo che, nella specie, le oggettive caratteristiche (risultate dalle espletate consulenze tecniche) del parapetto in questione, in ragione della ridotta altezza (cm. 90) e dell’esiguo spessore (cm. 20) del muretto perimetrale del lastrico, non fossero idonee a consentire il comodo affaccio, vale dire la possibilità di guardare non solo frontalmente, ma anche obliquamente e lateralmente, verso il fondo dei vicini, in condizioni di sufficiente sicurezza.
Sotto quest’ultimo profilo, la corte citava l’art. 26 co. 1 lett. b) del D.P.R. n. 547/1955, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, prescrivente per i parapetti nei cantieri di lavoro l’altezza minima di mt. 1 ed analoghe disposizioni contenute nel D.M. n. 236/89 ed in una circolare del 1965 del Ministero dei Lavori Pubblici.
Avverso tale sentenza i soccombenti G. – L. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati con successiva memoria.
Ha resistito l’intimato Lo. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 900, 905 e 907 c.c., nonché insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, censurandosi la ratio decidendi in narrativa riportata, per contrarietà ai principi giurisprudenziali in materia di affaccio ed ai criteri della logica e della comune esperienza, deducendosi in particolare l’inadeguatezza ed opinabilità del criterio rapportato alla statura delle persone, tenuto conto della variabilità della stessa, e l’incomprensibilità di quello relativo allo spessore del muretto.
Il motivo va disatteso risolvendosi nella confutazione di una valutazione che i giudici di merito, in primo ed in secondo grado, hanno adeguatamente motivato, partendo dalla corretta premessa, secondo cui per configurarsi gli estremi di una veduta ai sensi dell’art. 900 u.p. c.c, conseguentemente, soggetta alla regole di cui ai successivi artt. 905 e 907, è necessario che le c.d. inspectio et prospectio in alienum, vale a dire le possibilità di “affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”, siano esercitagli in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza (al riguardo v., tra le altre, Cass. nn. 5904/81, 3265/87, 7267/03), ed escludendo in concreto, sulla scorta di ragionevoli considerazioni basate, ex art. 115 co. 2 c.p.c., su nozioni di comune esperienza, che tali condizioni ricorressero nel caso di specie, in cui il muretto perimetrale del terrazzo è risultato essere alto soltanto cm. 90.
La sola considerazione, basata su un dato di oggettiva inconfutabilità, che tale altezza corrisponda, più o meno, a quella del “basso ventre” di una persona di ordinaria statura (da intendersi, come già è stato precisato da questa Corte, compresa tra i limiti minimi e massimi che normalmente si registrano nell’ambito della popolazione, e non necessariamente coincidente con la media di tali valori: v. sent. nn. 76267/93, 3285/87) così da non consentire l’adeguata protezione del “petto” della stessa nell’eventuale affaccio (che comporterebbe intuibili e pericolosi sbilanciamenti in avanti dell’osservatore), risulta di per sé sola sufficiente ad escludere il requisito della sicurezza, a prescindere dalla rilevanza o meno dell’esiguità dello spessore del muretto in questione, manufatto che per la sua ridotta elevazione rispetto al pavimento neppure può definirsi un “parapetto”.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 8.1.8 D.M. 14.6.89 n. 236, 54 Circ. 27.6.65 n.86 ter Min. L.L.P.P., 26 co.1 D.P.R. 547/55 e connessi vizi della motivazione, si censura, sotto vari profili (indebita applicazione, anche retroattiva, ai rapporti civilistici, di disposizioni rispondenti alle diverse esigenze della sicurezza nel lavoro, assenza di contenuto normativo esterno della circolare, mancata considerazione di norme di segno diverso contenute nel citato D.P.R.), il richiamo alle suddette fonti.
Il motivo va disatteso, per difetto di rilevanza, non avendo la Corte d’Appello affermato la diretta applicabilità alla controversia delle disposizioni in questione ma soltanto indicato le stesse quali elementi comparativi e di indiretto riscontro della valutazione, già di per sé adeguatamente motivata sulla base della comune esperienza, basata sull’insufficiente altezza del muretto di recinzione del terrazzo, inidoneo a consentire l’affaccio, in particolare la prospectio, in condizioni di sicurezza.
Pertanto la censura, attenendo ad un argomento aggiuntivo esposto in funzione meramente rafforzativa di quello principale, di per sé solo decisivo, non risultando essenziale ai fini della motivazione della decisione, è inammissibile. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, in misura di complessivi Euro 2.500,00, di cui 200 per esborsi.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2012
Corte di Cassazione Civile, Sezione II, 5 ottobre 2012 n. 18904
[omissis]
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 29.5.1997 L.S., proprietario di un appartamento in (omissis), lamentava che P.A., proprietaria di un appartamento confinante, aveva realizzato illegittimamente una scala a chiocciola di collegamento col sovrastante lastrico, violando le distanze ed aggravando la preesistente veduta, chiedendo anche i danni.
Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 9225/2000, rigettava la domanda, decisione confermata dalla Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1646/2005, che richiamava la decisione del primo giudice in ordine alla inidoneità della scala a chiocciola a consentire ma comoda inspectio e prospectio, escludendo anche la violazione delle distanze, perchè il muro di cinta non aveva altezza superiore a tre metri, circostanza non contestata, e la scala non era fronti stante ad alcun manufatto ma solo al predetto muro.
Ricorre L. con due motivi, resiste P..
Motivi della decisione
Col primo motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione in ordine all’aggravamento della servitù di veduta violazione dell’art. 1067 c.c., e dell’art. 112 c.p.c., e col secondo vizi di motivazione e violazione dell’art. 873 c.c..
Come dedotto, la sentenza ha escluso l’idoneità della scala a chiocciola a consentire una comoda prospectio ed inspectio e la violazione delle distanze.
Sul primo motivo va richiamato l’ormai consolidato orientamento di questa Suprema Corte.
La scala di un edificio, pur avendo una sua peculiare funzionalità, configura una veduta, e soggiace quindi alla relativa disciplina, quando, per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risulti obiettivamente destinata, in via normale, anche all’esercizio della “prospectio” ed “inspectio” su o verso il fondo del vicino (Cass. 16 marzo 1981, n. 1451).
Quando da un pianerottolo sia possibile esercitare una comoda “inspectio” e “prospectio” e tale esercizio rappresenti un uso normale dell’opera, considerata alla stregua dei suoi elementi obiettivi di carattere strutturale e funzionale, a nulla rileva che essa serva anche a collegare la rampe di una scala, in quanto tale diversità non vale ad esercitare l’obiettiva esistenza di una servitù di veduta (Cass. 4 agosto 1977 n. 3502).
Le porte, i ballatoi e le scale di ingresso alle abitazioni, che in genere non costituiscono vedute, in quanto destinate fondamentalmente all’accesso, e solo occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l’affaccio, possono configurare vedute quando, per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risultino obiettivamente destinate, in via normale, anche all’esercizio della “prospectio” ed “inspectio” su o verso il fondo del vicino (Cass. 6 marzo 1976 n. 763, etc.).
In sostanza, il fatto che obbiettivamente sia possibile la “inspectio” e la “prospectio” comporta la configurabilità di una veduta normale, a prescindere dalla destinazione primaria al manufatto di cui ciò si verifica, se per tale esercizio non bisogna far ricorso all’ausilio di mezzi artificiali per sporgersi od affacciarsi.
Il Giudice di merito deve accertare l’oggettiva idoneità all’inspicere ed inspicere in attunum (Cass. 13.10.2004, n. 20205).
Ciò premesso, poichè la Corte di appello pur richiamando in generale i principi in astratto applicabili, non ha spiegato in concreto la situazione in ordine alla possibilità di inspectio e prospectio, la sentenza va cassata sul punto per un nuovo esame.
Il secondo motivo non merita accoglimento avendo la sentenza dedotto che il muro di cinta non supera i tre metri e che la scala frontistante ad alcun manufatto del L..
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Napoli, altra sezione.