Corte di Cassazione, Sezione Feriale Penale, Sentenza 13 novembre 2012, n. 43885
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE FERIALE PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AGRO’ Antonio – Presidente Dott. GRILLO Renato – Consigliere […]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio – Presidente
Dott. GRILLO Renato – Consigliere
Dott. TADDEI Margheri – Consigliere
Dott. VITELLI CASELLA Luca – Consigliere
Dott. CAPRIOGLIO Piera M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 8934/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del 05/03/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/08/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Corasaniti G., che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) il quale conclude insistendo nell’accoglimento del ricorso, dell’annullamento della sentenza, in subordine annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 5 marzo 2012 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Velletri – Sezione Distaccata di Frascati – dell’8 marzo 2010 con la quale (OMISSIS), imputato dei reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), articoli 71, 72 e 95 e Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 (fatti accertati in (OMISSIS)), era stato ritenuto colpevole dei detti reati e condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuti i reati unificati sotto il vincolo della continuazione, alla complessiva pena – condizionalmente sospesa – di mesi otto di arresto ed euro 23.000,00 di ammenda.
1.2 Rilevava la Corte di Appello, richiamando sui vari punti le considerazioni svolte dal Tribunale che condivideva nella loro interezza che, quanto alla dedotta insussistenza del reato edilizio, l’intervenuta modificazione della destinazione d’uso che aveva visto la trasformazione di una cantina adibita a deposito di merci agricole in un mini-appartamento, avrebbe richiesto il rilascio di un permesso di costruire e non la semplice DIA con la quale il (OMISSIS) aveva comunicato l’inizio dei lavori di ristrutturazione del locale cantinato. Osservava – con riferimento alla violazione delle leggi sui cementi armati ed antisismiche che le strutture aggiuntive realizzate – consistite in travi di ferro affogate nel cemento onde sostenere le volte della cantina – richiedevano il preventivo nulla osta del Genio civile e la presentazione di apposito progetto redatto da tecnico specializzato. Giudicava apodittiche, e comunque sfornite di qualsiasi prova, le asserzioni dell’imputato secondo le quali era stata presentata tempestivamente la documentazione prevista in materia antisismica e l’opera era comunque da ritenersi conforme alle leggi in materia di tutela del paesaggio.
1.3 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario, deducendo violazione di legge per erronea applicazione della legge penale relativamente alla affermata sussistenza del reato urbanistico-edilizio: rileva, al riguardo, la non necessita’ del permesso di costruire, richiamando la giurisprudenza di questa Corte formatasi in materia ed evidenziando come la Corte territoriale avesse erroneamente valutato le risultanze documentali e fotografiche e come, altrettanto erroneamente, avesse ritenuto necessario il permesso di costruire pur in presenza di una ristrutturazione consistita nell’esecuzione di sole opere interne di adeguamento dei servizi e di tramezzatura, senza ne’ aumenti di volume, ne’ modifiche di sagome o altezze della costruzione preesistente. Ribadisce – con riferimento ai contestati reati in materia antisismica (capi b), e) e d) – la loro inconfigurabilita’ non essendo state eseguite opere in cemento armato e risultando le opere accertate preesistenti ai rilevi della P.G. Con un secondo motivo viene dedotta l’intervenuta estinzione di tutti i reati per prescrizione, contestandosi il prolungamento del termine per effetto del rinvio disposto per impedimento legittimo dell’imputato.
1.3 Con motivi aggiunti ritualmente e tempestivamente depositati, il difesa reitera il profilo della intervenuta prescrizione asseritamente maturata il 17 agosto 2012, non potendo valere l’ulteriore sospensione indicata in giorni sessanta per il rinvio della (prima) udienza dovuto a legittimo impedimento dell’imputato o, quanto meno, non essendo legittimo il computo di giorni sessanta quale periodo di sospensione. Reitera, poi, il profilo di erronea applicazione della legge penale con riferimento sia al reato urbanistico – ribadendo la piena legittimita’ della semplice D.I.A. sia al reato antisismico ed a quello paesaggistico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non e’ fondato per le ragioni qui di seguito specificate.
2. A prescindere dalla sostanziale genericita’ delle deduzioni difensive, incentrate soltanto su principi teorici disancorati dal caso concreto, ancorche’ il ricorso risulta estremamente articolato quanto alla ricostruzione del panorama normativo di riferimento e quanto ai richiami giurisprudenziali in tema di interventi di ristrutturazione edilizia e di interventi edilizi suscettibili del preventivo ottenimento del permesso di costruire o in alternativa della D.I.A. o della cd. “Super D.I.A.”, va ricordato che al (OMISSIS) viene addebitata in via principale (capo A) della imputazione) la ristrutturazione di un locale originariamente adibito a cantina con modifica della destinazione d’uso da cantina ad abitazione per essere stati effettuati al suo interno lavori edilizi consistiti nella realizzazione di due camere da letto, cucina, bagno e ripostiglio in una zona vincolata paesaggisticamente e sita nel centro storico del Comune di (OMISSIS).
3. Gli interventi edilizi di cui sopra impropriamente qualificati dal ricorrente come lavori di ristrutturazione in realta’ afferiscono ad una modificazione della destinazione d’uso di un locale in precedenza adibito ad altri fini e, a seguito dei lavori realizzati, destinato al soddisfacimento di finalita’ diverse, senza l’ausilio del prescritto permesso di costruire.
4. Ora, sia che lo si voglia riguardare come intervento di ristrutturazione, sia che lo si voglia riguardare come modificazione della destinazione d’uso, e’ da condividere la decisione della Corte che – seppur sintetica – appare assolutamente in linea con gli orientamenti da tempo espressi da questa Corte di legittimita’ sia in tema di ristrutturazione edilizia che in tema di modificazione della destinazione d’uso di un immobile.
5. Osserva questa Corte che il concetto di ristrutturazione edilizia, secondo la definizione fornita dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera d) implica, a differenza degli interventi di manutenzione straordinaria, il ripristino o la sostituzione di elementi costitutivi dell’edificio originario finalizzati a trasformare l’organismo preesistente o comunque un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello precedente, a condizione che rimangano immutati sagoma, volume, ed altezza (in questo senso, da ultimo, Cass. Sez. 3 16.6.2011 n. 36528, Fai, Rv. 251039; v. anche Cass. Sez. 3 20.1.2009 n. 9894, Tarallo, Rv. 343101; Cass. Sez. 3 11.12.2008 n. 2877, Zaccari, Rv. 242165). Tanto basta per la necessita’ del preventivo ottenimento del permesso di costruire, versandosi in una ipotesi di “nuova costruzione”. Inoltre, laddove le opere di trasformazione eseguite modifichino sagoma, altezza o volumi del preesistente manufatto, e’ indubitabile la necessita’ del permesso di costruire, non essendo piu’ sufficiente la semplice D.I.A. di cui eventualmente l’imputato si sia avvalso anche se si tratta di mere opere interne (per tali concetti, v. Cass. Sez. 3 24.11.2011 n. 47438, Truppi, Rv. 251637; Cass. Sez. 3 15.3.2002 n. 19378, Catalano, Rv. 221951 con specifico riguardo a lavori interessanti un piano seminterrato trasformato in locale-ristoro con realizzazione ex novo di servizi).
6. Quanto alle varianti in corso d’opera per le quali – secondo l’impostazione del ricorrente – non sarebbe necessario il permesso di costruire, la giurisprudenza di questa Corte e’ assolutamente pacifica nel ritenere che: a) le cd. “varianti leggere o minori”, tali, cioe’, da non incidere sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificative della destinazione d’uso e della categoria edilizia e tali da non alterare la sagoma dell’edificio oltre che rispettose delle prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire, sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell’attivita’ da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori; b) le varianti in senso proprio, consistenti in modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato (tali, cioe’, da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione) necessitano del rilascio del cd. “permesso in variante”, complementare ed accessorio rispetto all’originario permesso a costruire; c) le cd. “varianti essenziali”, caratterizzate da “incompatibilita’ quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 32″ sono invece soggette al rilascio di un permesso a costruire nuovo ed autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante (in termini, tra le tante, Cass. Se. 3 24.3.2010 n. 24236, Muoio ed altro, Rv. 247686; Cass. Sez. 3 27.1.1994 n. 1366, Forest ed altri, Rv. 196496 con riferimento alla irrilevanza penale della variante laddove non modificativa della destinazione d’uso anche di singole unita’ immobiliari – id est trasformazione di una cantina in locale adibito a soggiorno necessitante della concessione ad aedificandum).
7. Quanto, infine, alla modificazione della destinazione d’uso laddove ad essa si accompagni la realizzazione di opere comportanti aumenti di cubatura e’ certamente integrata l’ipotesi contravvenzionale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b). Peraltro la giurisprudenza di questa Corte e’ pacificamente orientata nel senso di ritenere concretizzata la fattispecie penale dell’abuso edilizio anche in presenza di sole opere interne implicanti comunque una modificazione funzionale del locale interessato dai lavori (cosi’, ad es., Cass. Sez. 3 20.5.2010 n. 27713, P.M. in proc. Olivieri e altro, Rv. 247919), non mancando di segnalare quanto ripetutamente affermato da questa Corte di legittimita’ in punto di incidenza ai fini penali della modifica di destinazione d’uso, laddove si tratti anche lavori di modesta entita’ che possono comportare una ipotesi di ristrutturazione edilizia ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lettera d) atteso che cio’ implica la creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (cosi’, Cass. Sez. 3 17.10.2006 n. 39860, Pompili, Rv. 235404). Va poi aggiunto che l’accertamento del mutamento di destinazione “dev’essere effettuato, nel caso di lavori in corso d’opera, sulla base dell’individuazione di elementi univocamente significativi, propri del diverso uso cui l’opera e’ destinata e non coerenti con l’originaria destinazione della medesima” (Fattispecie nella quale l’intervento edilizio era consistito nella trasformazione ad uso abitativo dei sottotetti di numerosi fabbricati in corso di realizzazione, in contrasto con le N.T.A. del P.e.e.p. comunale) (v. Cass. Sez. 3 26.1.2011 n. 9282, Saviano, Rv. 249756). Cosi’ come e’ stato ribadito il concetto che non rientrano tra gli interventi di manutenzione straordinaria le opere che modifichino la destinazione d’uso in quanto assoggettate al rilascio del permesso di costruire (Cass. Sez. 3 19.1.2012 n. 12104, Tedesco, Rv. 252341).
8. Ed ancora e’ stato affermato che gli interventi di ristrutturazione edilizia implicano il rilascio del permesso di costruire tanto nella ipotesi in cui si tratti di modificazione della destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, sia nel caso in cui se eseguiti in centri storici (come e’ avvenuto nel caso di specie) comportino il mutamento di destinazione d’suo all’interno di una stessa categoria omogenea (in termini Cass. Sez. 3 20.1.2009 n. 9894, Tarallo, Rv. 243102).
9. Orbene la Corte territoriale, facendo buon governo di tali regole interpretative ha ritenuto che nel caso in esame l’attivita’ posta in essere dal (OMISSIS), estrinsecatasi in una trasformazione radicale di un locale adibito a deposito di oggetti in un locale ad uso abitativo con correlata incidenza sul carico urbanistico, integrasse l’ipotesi contravvenzionale in discorso per la mancanza ab origine del titolo abilitativo, non ritenendosi sufficiente la mera denuncia di inizio attivita’.
10. Tanto piu’ la motivazione della Corte territoriale appare in linea con la giurisprudenza di questa Corte laddove si consideri che il giudice territoriale non solo ha tenuto conto della modificazione della originaria destinazione sotto il profilo cd. “funzionale”, ma anche sotto quello materiale, basandosi anche su una modifica della struttura interna comportante una maggiore incidenza sul cd. carico urbanistico”.
11. Le ragioni che precedono consentono di ritenere corretta la decisione della Corte anche con riferimento alla violazione delle norme paesaggistiche ed ambientali, occorrendo anche in questo caso – proprio in relazione alla circostanza che l’immobile insiste su zona protetta sotto il profilo ambientale – il rilascio non solo del permesso di costruire, ma di apposita autorizzazione dell’Autorita’ amministrativa preposta alla salvaguardia del paesaggio.
12. Quanto ai reati in material antisismica, e’ da escludere che la D.I.A. fosse sufficiente a tale scopo occorrendo invece – come esattamente ricordato dalla Corte di Appello – la presentazione di apposito progetto e della denuncia preventiva all’Ufficio del genio Civile competente, in relazione alla particolare natura delle opere edilizie (travi di ferro ad H e travi in conglomerato cementizio aventi la funzione di sostegno del soffitto).
13. Parimenti infondato il motivo concernente la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Ricordata la natura permanente del reato urbanistico-edilizio la quale puo’ essere interrotta solo dalla definitiva ed integrale ultimazione dei lavori ovvero da un provvedimento di sequestro, ovvero dalla spontanea demolizione delle opere, va aggiunto detto che la prescrizione puo’ anche risentire di eventuali cause di sospensione che ne prolunghino la durata in relazione alla natura stessa della causa che vi ha dato luogo.
14. Ora, con riferimento alla ipotesi prospettata nel ricorso con il secondo motivo e maggiormente evidenziata nei motivi aggiunti, la tesi del ricorrente secondo la quale la durata della sospensione del corso della prescrizione in caso di rinvio per legittimo impedimento dell’imputato debba commisurarsi alla durata dell’effettivo impedimento, quando non sia stata stabilita dal giudice in sede di rinvio dell’udienza non puo’ essere condivisa.
15. Ricordato, in punto di fatto, che il reato risulta accertato il (OMISSIS) e che il termine prescrizionale massimo va calcolato in anni cinque, comprensivo della proroga nella misura di 1/4, la prescrizione sarebbe dovuta maturare il 17 agosto 2012. Tuttavia in conseguenza di un rinvio dell’udienza del 16 giugno 2008 per legittimo impedimento dell’imputato conseguente una situazione di infermita’ fisica, senza l’indicazione di un termine inferiore ai giorni sessanta, la sospensione dei termini prescrizionali deve essere rettamente calcolata nella misura di giorni sessanta come prescritto dall’articolo 159 c.p.p., comma 1, par. 3).
16. Recita la norma che “il corso della prescrizione rimane sospeso … oltre che nei casi di … sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore. In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non puo’ essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, dovendosi avere riguardo, in caso contrario, al tempo dell’impedimento aumentato di sessanta giorni … .La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui e’ cessata la causa della sospensione”.
17. Il contenuto della norma importa che la limitazione a sessanta giorni oltre al “tempo dell’impedimento”, del periodo che puo’ essere preso in considerazione ai fini della sospensione della prescrizione trova applicazione esclusivamente per i rinvii di udienza determinati da impedimento di una delle parti o di uno dei difensori e non anche per i rinvii di udienza concessi a seguito di una richiesta dell’imputato o del suo difensore (Cass. Sez. 3 17.10.2007 n. 4071, Regine, Rv. 238544; nello stesso senso Cass. Sez. 1 4.2.2009 n. 5956, Tortorella, Rv. 243374). Diversamente e’ disposto laddove la sospensione derivi da una richiesta del difensore motivata dalla sua adesione all’astensione dalle udienze ovvero da una esplicita richiesta – per le esigenze piu’ svariate – avanzata dal difensore o dallo stesso imputato (in termini Cass. Sez. 1 5956/09 cit; Cass. Sez. 5 8.2.2010 n. 18071, Piacentino ed altri, Rv. 247142; Cass. Sez. 1 17.6.2008 n. 25714, Arena, Rv. 240460).
18. L’interpretazione giurisprudenziale della norma teste’ richiamata modificata, come e’ noto, dalla Legge n. 251 del 2005, comporta quindi una variegata gamma di soluzioni flessibili che, in ogni caso, fissa in un periodo non superiore a giorni sessanta oltre la data di cessazione dell’impedimento, il periodo di sospensione della prescrizione laddove determinata da richieste scaturenti da un legittimo impedimento delle parti per qualsivoglia causa (malattia; concomitanti impegni del difensore, esigenze particolari adeguatamente documentate); ovvero in un periodo maggiore in correlazione con le specifiche esigenze organizzative dell’ufficio, laddove il rinvio venga sollecitato da una delle parti per ragioni diverse che non siano strettamente processuali (ad esempio per munirsi di procura speciale in vista della scelta di un rito alternativo, ovvero per acquisire alcuni documenti da produrre; adesione all’astensione).
19. Ne deriva che laddove – come si e’ verificato nel caso in esame – il rinvio venga disposto oltre il termine di sessanta giorni rispetto alla data in cui e’ stato richiesto il rinvio, il termine da computare ai fini della sospensione sara’ corrispondente a giorni sessanta decorrenti dalla data dell’udienza di rinvio, mentre un termine minore sara’ possibile soltanto nel caso in cui il giudice disponga un rinvio piu’ breve: peraltro il criterio guida e’ comunque costituito dalle esigenze organizzative dell’ufficio, sicche’ e’ da escludere che, laddove il rinvio sia stato disposto oltre il sessantesimo giorno, possa comunque calcolarsi un periodo di sospensione inferiore a scelta dell’imputato (o del difensore), in quanto il periodo di sessanta giorni e’ predeterminato in via oggettiva per legge e puo’ essere modificato in meno solo nella residuale ipotesi in cui sia il giudice (di ufficio o su eventuale sollecitazione delle parti) a stabilire una durata inferiore ma sempre commisurata alle esigenze organizzative dell’Ufficio.
20. Di conseguenza e’ da escludere che alla data della decisione della Corte di Appello il termine prescrizionale, comprensivo della indicata sospensione per giorni sessanta, fosse maturato: ne’ la prescrizione e’ maturata alla data odierna in relazione alla data di commissione del reato risalente – come gia’ detto – al (OMISSIS).
21. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.