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Federproprietà AbruzzoCompravenditaCorte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza 9 aprile 2013, n. 8571

Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza 9 aprile 2013, n. 8571

Se il conduttore diventa promissario acquirente, ma la compravendita è risolta per inadempimento, è passibile di risarcire il proprietario per occupazione?

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17248/2007 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) S.A.S. DI (OMISSIS);

- intimata -

sul ricorso 22403/2007 proposto da:

(OMISSIS) S.A.S. DI (OMISSIS) (OMISSIS) in persona del rappresentante legale Rag. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS) giusta procura in atti;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS);

- intimata -

avverso la sentenza n. 82/2006 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA di BOLZANO, depositata il 03/05/2006, R.G.N. 102/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 3 agosto 2000 la (OMISSIS) s.a.s. (ora (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS)) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Bolzano, sezione distaccata di Merano, (OMISSIS). Esponeva l’attrice che la convenuta occupava, senza titolo, dal 1992 un appartamento sito in (OMISSIS), di sua proprieta’, essendo ormai passata in giudicato la sentenza della Corte di appello di Bolzano del 17 dicembre 1998 che aveva risolto per inadempimento della convenuta il contratto preliminare relativo a detto appartamento e stipulato con la (OMISSIS) quale promittente acquirente; che quest’ultima non aveva pagato alla proprietaria alcunche’ a titolo di indennita’ di occupazione ed aveva versato solo in parte gli oneri condominiali. Tanto premesso, la predetta societa’ chiedeva la condanna della convenuta al pagamento di lire 87.652.912 (di cui lire 76.800.000 per indennita’ di occupazione, calcolando un canone mensile di lire 800.000 dal 16 aprile 1992 al 31.3.2000, e lire 10.852.912 per spese condominiali), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

La convenuta si costituiva e contestava che in capo all’attrice si fosse verificato un danno, avendo la stessa acquistato l’immobile in parola con contratto del 3 giugno 1992 dalla precedente proprietaria, (OMISSIS) s.a.s., per un prezzo (lire 100.000.000) inferiore a quello di mercato proprio in ragione dell’esistenza della causa tra la venditrice e la (OMISSIS), avente ad oggetto il preliminare di vendita, datato 26 settembre 1991, dell’immobile in questione per il prezzo convenuto di lire 165.000.000 e per il fatto che la (OMISSIS) occupava l’immobile.

La convenuta eccepiva la prescrizione ex articolo 2947 c.c., contestava le somme pretese a titolo di oneri condominiali ed eccepiva, in relazione a tali oneri, la prescrizione ai sensi della Legge n. 841 del 1973, articolo 6 e, in subordine, quella quinquennale ex articolo 2947 c.c..

Il Tribunale adito, qualificata, quella proposta, come azione di illecito extracontrattuale ed accolta l’eccezione di prescrizione ex articolo 2947 c.c., liquidava in euro 31.814,16 l’indennita’ di occupazione dovuta per il periodo non prescritto – dal 3 agosto 1995 al 31 marzo 2000 – sulla base di un valore locativo di euro 568,11 mensili, oltre interessi legali dalle scadenze al saldo; previo accoglimento dell’eccezione di prescrizione biennale in relazione alle spese condominiali, liquidava per tali spese non prescritte per il periodo 1998-2000 l’importo ulteriore di euro 2.813,71, condannava la convenuta al pagamento delle dette somme e poneva a carico della stessa per due terzi le spese di lite, compensandole per la parte residua.

Avverso tale decisione la (OMISSIS) proponeva appello, cui resisteva la societa’ appellata che proponeva, a sua volta, appello incidentale.

La Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 3 maggio 2006, riduceva di euro 230,28 l’importo risarcitorio liquidato nell’impugnata sentenza in favore della societa’ appellata, confermava nel resto l’impugnata sentenza e condannava l’appellante principale al pagamento dei due terzi delle spese di entrambi i gradi di giudizio, che compensava nel resto.

Avverso la sentenza della Corte di merito (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

La (OMISSIS) s.a.s di (OMISSIS) ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale articolato in due motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’articolo 366 bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 6, ed abrogato dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 47, comma 1, lettera d – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (3 maggio 2006).

2. Con il primo motivo, denunciando “violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’articolo 2041 c.c.”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la riduzione di lire 65.000.000 del prezzo di acquisto dell’immobile di cui si discute in causa, rispetto al valore di mercato, costituisca, semmai, lucro cessante in danno dell’alienante (OMISSIS) s.a.s. e si risolva in una questione tra la predetta societa’ e l’attuale ricorrente, nulla rilevando in capo alla (OMISSIS) s.a.s di (OMISSIS).

Tale conclusione sarebbe inaccettabile – ad avviso della ricorrente – perche’ la societa’ da ultimo indicata si vedrebbe risarcita due volte per un singolo fatto lesivo, cosi’ determinandosi un ingiustificato arricchimento.

2.1. Il motivo e’ infondato sotto il profilo della violazione di legge. Si osserva che nei rapporti tra le parti in causa non rilevano i patti contrattuali tra ciascuna delle dette parti con i terzi e, in particolare nella specie, tra la societa’ controricorrente e ricorrente incidentale e la precedente proprietaria dell’immobile in questione, (OMISSIS) s.a.s., ne’ alcun rilievo puo’ avere il prezzo di acquisto del detto immobile versato alla predetta societa’ dall’attuale proprietaria; la richiesta da quest’ultima avanzata nei confronti della ricorrente si fonda, infatti, sull’occupazione dell’immobile da parte della (OMISSIS) e, quindi, l’eventuale accoglimento della domanda non darebbe luogo alla locupletazione della controricorrente a danno della ricorrente senza giusta causa.

Ed invero, l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicche’ non e’ dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalita’ o dell’adempimento di un’obbligazione naturale (Cass. 15 maggio 2009, n. 11330); inoltre, l’azione in parola presuppone l’unicita’ del fatto costitutivo dell’arricchimento di un soggetto e del depauperamento di un altro (Cass. 16 dicembre 1981, n 6664 e Cass. 18 luglio 1997, n. 6619).

2.2. Il motivo e’, invece, inammissibile in relazione alle censure in tema di vizi motivazionali, indicati nella rubrica e neppure illustrati, difettando al riguardo il necessario momento di sintesi (c.d. quesito di fatto).

Nella giurisprudenza di questa Corte e’ stato, infatti, precisato che, secondo l’articolo 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa, insufficiente o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non e’ possibile ritenere rispettato il requisito concernente il motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attivita’ di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’articolo 366 bis c.p.c., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione e’ conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione (Cass., sez. un., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass., 27 ottobre 2011, n. 22453; v. pure Cass., 18 novembre 2011, n. 24255).

3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “violazione dell’articolo 360, nn. 3 e 5, in relazione al combinato disposto di cui agli articoli 2043 e 2967 c.c.”. Sostiene la (OMISSIS) che la Corte di appello avrebbe “dapprima inquadrato la vicenda nella fattispecie della responsabilita’ extracontrattuale di cui all’articolo 2043 c.c.”, “per poi ritenere che l’insussistenza di un titolo di occupazione opponibile alla nuova proprietaria possa di per se’ integrare tutti gli estremi costitutivi della responsabilita’ da lex aquilia de damno”.

Deduce la ricorrente che occupa l’immobile legittimamente in virtu’ di un contratto preliminare concluso con il precedente proprietario e che, a prescindere della legittimita’ o meno dell’occupazione, avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che la semplice occupazione dell’immobile integrasse illecito aquiliano, in quanto anche in tema di responsabilita’ aquiliana la parte che la invoca ha l’onere di provare ex articolo 2697 c.c., tutti i requisiti di cui all’articolo 2043 c.c..

Ad avviso della ricorrente, pur a voler ammettere che l’occupazione di immobile altrui rappresenti in re ipsa danno ingiusto nei confronti del proprietario, la controparte avrebbe dovuto fornire prova rigorosa in relazione alla probabilita’ di poter validamente locare a terzi l’immobile ove non occupato dalla ricorrente.

Secondo la (OMISSIS) la Corte di merito avrebbe invece erroneamente fatto riferimento al c.d. danno figurativo richiamando la sentenza di questa Corte n. 13630 del 2001, relativa pero’ ad un caso di usurpazione di un cespite immobiliare, usurpazione che nel caso all’esame difetterebbe. Peraltro, rappresenta la ricorrente che, prima dell’atto di citazione, la controparte non aveva chiesto il rilascio dell’immobile, pur avendo la sentenza della Corte di appello di Trento sez. distaccata di Bolzano del 1998 stabilito il rilascio dell’immobile; si potrebbe, pertanto, configurare un’acquiescenza alla situazione di fatto, con preclusione di qualsiasi richiesta risarcitoria, al piu’ potrebbe ritenersi sussistente il diritto della controparte ad ottenere non cinquantasei mensilita’, come stabilito dai Giudici di merito, ma solo le mensilita’ relative al periodo intercorso tra il passaggio in giudicato della sentenza di risoluzione del preliminare e la notifica dell’atto di citazione.

3.1. Il motivo, in relazione alle denunciate violazioni di legge, e’ infondato. Le stesse difese della ricorrente depongono per la sussistenza dell’illecito, fondando la medesima le sue richieste sul suo inadempimento.

Inoltre, secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimita’, in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui (sia essa usurpativa o non), il danno per il proprietario del cespite e’ in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilita’ del bene da parte del proprietario usurpato ed all’impossibilita’ per costui di conseguire l’utilita’ normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (v. ex plurimis Cass. 10 febbraio 2011, n. 3223; Cass. 18 gennaio 2006, n. 827; Cass. 5 novembre 2001, n. 13630; v. pure, da ultimo, Cass. 7 agosto 2012, n. 14222, secondo cui l’esistenza di un tale danno in re ipsa costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum, che poggia sul presupposto dell’utilita’ normalmente conseguibile nell’esercizio delle facolta’ di godimento e di disponibilita’ del bene insite nel diritto dominicale, presunzione che nella specie non risulta, del resto, essere stata superata). Secondo il ricordato orientamento la determinazione del risarcimento del danno ben puo’ essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento anche al c.d. danno figurativo e, quindi, con riguardo anche al valore locativo del bene usurpato. A tali principi la Corte di merito si e’ correttamente conformata.

Va peraltro evidenziato, in relazione alla prospettata acquiescenza, che tale questione e’ inammissibile; ed invero, qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita’, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicita’ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (v. Cass. 3 marzo 2009, n. 5070). Tale onere non risulta assolto nella specie.

A tanto deve aggiungersi che questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui il promissario acquirente di un immobile che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, e’ tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimita’ originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come sine titulo; con la conseguenza che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato che non ha potuto trarre frutti ne’ dal pagamento del prezzo ne’ dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale (Cass. 21 novembre 2011, n. 24510; v. anche, sia pure in tema di recesso, 8 giugno 2012, n. 9367).

Non e’ pertanto condivisibile la tesi della ricorrente secondo cui, al piu’, la controparte potrebbe aver diritto a vedersi riconosciuta l’indennita’ per l’occupazione dell’immobile di cui si discute in causa solo in relazione al periodo intercorso tra il passaggio in giudicato della sentenza di risoluzione del preliminare di compravendita e la notifica dell’atto di citazione.

3.2. Il motivo all’esame e’, inoltre, inammissibile in relazione alle censure in tema di vizi motivazionali, difettando al riguardo il necessario momento di sintesi (c.d. quesito di fatto). Sul punto si rinvia a quanto gia’ osservato al p. 2.2..

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta “violazione dell’articolo 360, nn. 3 e 5, in relazione al Decreto Legge n. 333 del 1992, articoli 11 e 21, convertito in Legge n. 359 del 1992 (c.d. patti in deroga), alla Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 12 (c.d. equo canone), all’articolo 2697 c.c., nonche’ all’articolo 112 c.p.c.”.

Deduce la ricorrente che la Corte di merito avrebbe insufficientemente motivato in relazione alla questione, sollevata dalla difesa dell’attuale ricorrente, secondo cui, qualora sia effettivamente dovuta l’indennita’ di occupazione, questa dovrebbe essere rapportata al c.d. equo canone, considerato che l’occupazione del bene e’ iniziata nel 1991, periodo in cui la disciplina dei contratti di locazione era quella dell’equo canone, essendo la normativa relativa ai c.d. patti in deroga entrata in vigore successivamente. Ad avviso della ricorrente, la Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare che nel periodo, rilevante ai fini della decisione, successivo al 3 agosto 1995, escluso dalla prescrizione, vigeva la normativa dei c.d. patti in deroga.

4.1. In relazione al terzo motivo e’ stato formulato un unico quesito che, pur se qualificato dalla ricorrente come quesito di diritto, appare riferito al profilo di censura relativo alla insufficiente e contraddittoria motivazione.

4.2. Per quanto riguarda tale doglianza, il motivo e’ infondato, in quanto la sentenza e’ sul punto motivata e non e’ contraddittoria, evidenziandosi che il riferimento alla normativa dei patti in deroga deve intendersi quale indicazione di un mero paramento assunto quale base per il calcolo dell’indennita’ dovuta.

4.3. In relazione alla lamentata violazione di legge, non risulta formulato il relativo quesito di diritto sicche’, con riferimento a tale profilo, il motivo e’ inammissibile (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., ord., 24 luglio 2008, n. 20409; Cass. 9 maggio 2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez. un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n. 14385).

5. Con il quarto motivo, deducendo la “violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione agli articoli 2697, 2729 c.c., nonche’ articolo 116 c.p.c.”, la ricorrente lamenta che la controparte non avrebbe fornito il riscontro probatorio in relazione all’ammontare degli importi richiesti a titolo di spese condominiali e che il giudice del merito si sarebbe attenuto alle risultanze della disposta ctu ed avrebbe fatto riferimento a presunzioni semplici ex articolo 2729 c.c..

5.1. In relazione al quarto motivo la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “nel caso in cui un soggetto, titolare di un immobile condominiale, convenga in giudizio colui il quale lo occupa, chiedendo la sua condanna al pagamento delle spese condominiali e’ tenuto a fornire, o meno, un supporto probatorio a detta richiesta non potendo detto computo essere demandato completamente ad una consulenza tecnica di ufficio, rispettivamente il Giudice e’ tenuto a non tener conto dei calcoli eseguiti con metodo probabilistico non essendo applicabile, al caso di specie, l’istituto delle presupposizioni semplici ex articolo 2729 c.c.”.

5.2. Il motivo, in ordine alla prospettata violazione di legge, e’ inammissibile, essendo il relativo quesito di diritto proposto del tutto astratto e generico, privo di ogni riferimento alla fattispecie concreta. Si osserva al riguardo che, ai sensi dell’articolo 366 bis c.p.c., il quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale – non puo’ essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non puo’ consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura cosi’ come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530).

5.3. Il motivo all’esame e’, inoltre, inammissibile in relazione alle censure in tema di vizi motivazionali, difettando al riguardo il necessario momento di sintesi (c.d. quesito di fatto). Sul punto si rinvia a quanto gia’ osservato al par. 2.2..

6. Con il primo motivo del ricorso incidentale la (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS) lamenta “violazione dell’articolo 360, nn. 3 e 5, in relazione all’articolo 2947 c.c., arbitraria ed erronea applicazione dell’articolo e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Sostiene la predetta societa’ che solo con il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello del 17 dicembre 1998 il contratto preliminare era stato risolto e percio’ solo da tale data essa avrebbe avuto la possibilita’ di far valere nei confronti della (OMISSIS) il diritto al risarcimento dei danni per l’occupazione sine titulo e, pertanto, le sarebbe dovuto il risarcimento del danno dal 3 giugno 1992 fino al 31 marzo, come richiesto nell’atto di citazione.

6.1 In relazione al motivo all’esame la controricorrente ricorrente incidentale ha proposto il seguente quesito di diritto: “vero che la prescrizione incomincia a decorrere dal momento in cui il diritto puo’ essere fatto valere, che nel caso concreto deve essere stabilito dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che ha accertato definitivamente che la sig.ra (OMISSIS) non ha diritto a far valere il contratto preliminare di compravendita, a causa del quale stava occupando l’immobile?”.

6.2. Il quesito formulato in relazione al motivo all’esame risulta eccentrico e non conferente, non essendo idoneo ad assolvere la propria funzione che, come gia’ evidenziato, e’ quella di far comprendere a questa Corte, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale la regola da applicare, ne’ potendo – come pure gia’ detto – consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura cosi’ come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass. 7 marzo 2012, n. 3530).

6.3. Il motivo in questione e’ inammissibile anche per quanto attiene ai vizi motivazionali indicati nella rubrica e neppure illustrati, difettando al riguardo il necessario momento di sintesi (c.d. quesito di fatto). Sul punto si rinvia a quanto gia’ osservato al par. 2.2..

7. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la (OMISSIS) s.a.s. di (OMISSIS) lamenta “violazione dell’articolo 360, nn. 3 e 5 in relazione alla Legge 22 dicembre 1973, n. 841, articolo 6, arbitraria ed erronea applicazione dell’articolo ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Deduce la controricorrente ricorrente incidentale che la somma relativa alle spese condominiali sarebbe dovuta dalla controparte a titolo di risarcimento danni e non a titolo di oneri condominiali in senso stretto come erroneamente affermato dal Giudice del primo grado il quale non avrebbe neppure motivato la sua decisione di applicare nel caso all’esame la prescrizione biennale di cui alla Legge 22 dicembre 1973, n. 843, articolo 6.

7.1. Il motivo all’esame e’ inammissibile, contenendo censure dirette esclusivamente nei confronti della sentenza di primo grado, senza alcun riferimento alla pronunzia emessa dal giudice del gravame di merito. Ed invero, secondo il consolidato principio di questa Corte, rimanendo la sentenza del giudice di prime cure sostituita da quella di appello, al di fuori dei casi eccezionali previsti dalla legge (non ricorrenti nella specie), quest’ultima – anche laddove, diversamente dal caso in esame sulla questione de qua (v. p. 10 della sentenza impugnata), confermativa di quella di primo grado (Cass., 10 ottobre 2003, n. 15185) – costituisce l’unico oggetto del giudizio di legittimita’ (v. Cass. 24 giugno 2003, n. 9993), non essendo pertanto consentito formulare doglianze avverso la sentenza di prima istanza (Cass., 17 luglio 2007, n. 15952; Cass., 9 maggio 2007, n. 10626; Cass., 15 marzo 2006, n. 5637; Cass., 20 giugno 1996, n. 5714; v. anche, in motivazione Cass. 8 febbraio 2008, n. 3127).

8. Il ricorso principale deve, quindi, essere rigettato mentre il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile.

Stante la reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimita’ ben possono essere compensate per intero tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’.

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