Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza 22 novembre 2012, n. 20714
Si può vendere un immobile su cui insista la procedura di condono edilizio? A quyali condizioni? Cosa succede se tali condizioni non sussistono?
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 31559/2006 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
- ricorrenti -
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) in qualita’ di erede legittimo di (OMISSIS) e per essa gli altri eredi (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 941/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 21/09/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2012 dal Presidente Relatore Dott. LUIGI PICCIALLI;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega depositata dall’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con rispettivi atti di citazione notificati il 3 e 9 febbraio del 1993 i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) e (OMISSIS) rispettivamente suocera dei predetti, convennero al giudizio del Tribunale di Siracusa i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), al fine di sentir dichiarare la nullita’, per indisponibilita’ ed illiceita’ della causa, o in subordine la risoluzione, con le conseguenti statuizioni restitutorie e risarcitorie, per inadempimento dei convenuti promittenti venditori, dei contratti preliminari di compravendita, rispettivamente stipulati con scritture private del 3/1 e 12/ 9 del 1991 e non seguiti dalla stipula dei definitivi nel termine previsto, aventi ad oggetto due appartamenti siti in (OMISSIS), l’uno e l’altro abusivamente edificati, con sanatoria edilizia in corso, e sottoposti a pignoramento, circostanze dichiarate nei due atti, con impegno dei promittenti venditori a liberarli dal vincolo suddetto all’esito della proposta opposizione contro la creditrice amministrazione finanziaria.
Costituitosi in entrambi i giudizi i convenuti, chiesero il rigetto delle domande, eccependo la conoscenza da parte dei promissari acquirenti delle circostanze suddette, la non incidenza delle stesse sulla validita’ dei negozi e l’inadempienza degli attori, al riguardo formulando domande riconvenzionali di accertamento della legittimita’ del proprio recesso, con diritto alla ritenzione delle caparre, rilascio degli appartamenti, gia’ consegnati alle controparti e dalle stesse resi comunicanti, con eliminazione delle relative modifiche e pagamento della somma di lire 1.000.000 da parte degli (OMISSIS) – (OMISSIS), come da impegno assunto con la citata scrittura privata.
Riuniti i giudizi ed istruiti gli stessi con prove orali, documentali e consulenza tecnica di ufficio, l’adito tribunale con sentenza dell’11l/12.7.2001, premesso che le circostanze dedotte dagli attori erano state loro rese note nei contratti, escludendo sia la nullita’ degli stessi (comportando i pignoramenti soltanto l’inopponibilita’ della vendita ai creditori e non essendo la sanzione d’invalidita’ di cui alla normativa urbanistico – edilizia prevista per i contratti preliminari), sia l’inadempimento dei convenuti, rigetto’ le domande attrici ed,in parziale accoglimento delle riconvenzionali, compensati i reciproci crediti, condanno’ gli (OMISSIS) – (OMISSIS) al pagamento in favore dei (OMISSIS) – (OMISSIS) della somma di lire 20.000.000 a titolo di conguaglio nonche’,in solido con la (OMISSIS),di quella di lire 5.000.000,oltre alle spese di giudizio.
Proposto congiunto appello dagli attori,resistito dagli appellati, appellanti incidentali, con sentenza dell’8/6-21/9/05 la Corte di Catania, accolto per quanto di ritenuta ragione il gravame principale, disatteso l’incidentale, in riforma della sentenza impugnata, pronunziava la risoluzione dei due contratti per inadempimento dei promittenti venditori, condannandoli alla restituzione delle somme, di lire 10.000.000 in favore degli (OMISSIS) – (OMISSIS) e di lire 30.000.000 in favore della (OMISSIS), con gli interessi legali, compensando integralmente le spese del doppio grado di giudizio.
A fondamento essenziale di tale pronunzia la corte etnea considerava che, pur non sussistendo le ragioni di nullita’ dedotte dagli attori, si configurasse invece l’inadempimento colpevole dei promiittenti venditori, per non essersi posti in gradi di procurare, alla data delle previste stipule dei contratti definitivi e per i successivi tre anni, i certificati di abitabilita’ o agibilita’ degli immobili, secondo la loro naturale destinazione,ne’ le sanatorie edilizie, le cui pratiche erano risultate incomplete.
Avverso tale sentenza il (OMISSIS) e la (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con successiva memoria.
Hanno resistito con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), la seconda anche nella qualita’ di erede di (OMISSIS), nelle more defunta, nonche’ gli altri eredi di quest’ultima, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione della Legge n. 47 del 1985, articolo 40 e articolo 1453 c.c., e motivazione insufficiente, censurandosi la pronunzia di risoluzione dei contratti.
Il giudice di appello, incorrendo in confusione tra l’istituto della nullita’ e quello della risoluzione per inadempimento,non avrebbe considerato che, gia’ al momento della stipula dei preliminari, gli immobili erano commerciabili ai sensi della Legge n. 47 del 1985, articolo 40, essendo state presentate le relative domande di sanatoria edilizia e versate interamente le somme previste per le oblazioni. Ne’ sarebbe stato configurabile l’inadempimento dei promittenti venditori, tenuto conto della consapevolezza dei promissari acquirenti dell’irregolarita’ edilizia degli appartamenti e dell’assenza di alcun impegno contrattuale da parte dei primi a procurare le sanatorie.
Il motivo non merita accoglimento.
Va anzitutto rilevata l’inconferenza del richiamo alla nota e costante giurisprudenza di legittimita’, secondo cui le nullita’ dettate dalla della Legge n. 47 del 1985, articoli 15 e 40, si applicano ai soli contratti traslativi della proprieta’ degli immobili privi di titolo edificatorio e non anche a quelli preliminari,non avendo la corte di merito affermato tale nullita’, bensi’ pronunziato, in accoglimento della subordinata domanda dei promissari acquirenti, la risoluzione del contratto in questione per inadempimento dei promittenti venditori.
Tale pronunzia e’ stata basata su accertamento di fatto incensurabile, desunto da risultanze documentali (attestazione del Comune di Noto), secondo cui la pratica di sanatoria edilizia presentata dal (OMISSIS) era priva di requisiti essenziali (esatta individuazione degli abusi e congruita’ della somma versata a titolo di oblazione), circostanza che si traduceva sia nell’impossibilita’, per il notaio rogante, di procedere alla stipula dell’atto pubblico di compravendita, sia nella mancanza di un requisito essenziale della cosa promessa in vendita, ai fini della fruibilita’ abitativa della stessa.
Sotto il primo profilo deve ritenersi che la norma di cui alla Legge n. 47 del 1985, articolo 40, nel prevedere la possibilita’ di stipulazione nei casi in cui risulti la presentazione dell’istanza di condono edilizio e del pagamento delle prime due rate dell’oblazione, presuppone che la domanda in questione sia connotata dai requisiti minimi perche’ possa essere presa in esame, con probabilita’ di accoglimento, dalla P.A., vale dire dall’indicazione precisa della consistenza degli abusi sanabili, costituenti anche il presupposto per la corretta determinazione della somma dovuta a titolo di oblazione,e dalla congruita’ dei relativi versamenti. Diversamente opinando,ritenendo sufficiente una qualsiasi istanza ed un qualsiasi pagamento,a discrezione dell’istante, la comminatoria di incommerciabilita’ degli immobili abusivi si presterebbe a facile elusione e risulterebbe vanificata.
Sotto il secondo profilo,va osservato che la circostanza che nel contratto fosse stato dichiarato dalle parti che l’immobile era abusivo e con sanatoria in corso, pur non comportando l’obbligo dei promittenti venditori di portare a termine positivamente il relativo iter, presupponeva comunque che l’abuso edilizio fosse concretamente sanabile, in virtu’ della avviata pratica; tanto al fine non solo di rendere possibile la successiva valida stipulazione dell’atto pubblico, ma anche a quello di consentire la legittima fruibilita’ abitativa da parte dei futuri acquirenti del bene compromesso. Pertanto correttamente ed in conformita’ alla giurisprudenza di questa Corte (v. nn. 13231/10, 27129/06) il giudice d’appello, in mancanza di tale essenziale condizione, che avrebbe dovuto sussistere alla data della prevista stipulazione del contratto definitivo, difetto che e’ invece persistito per tre anni successivi, ha ravvisato,in cospetto della non sanabilita’ dell’illegittima edificazione, l’inadempimento dei promittenti venditori e pronunziato la risoluzione per loro colpa del contratto.
Con il secondo motivo si deduce violazione degli articoli 1148, 1458 c.c. e articolo 112 c.p.c., con motivazione insufficiente e contraddittoria, per essere stata respinta la richiesta di restituzione dei frutti civili degli immobili, ritenendo non proposta la relativa domanda, sull’erroneo presupposto che la stessa sarebbe stata formulata, con esclusivo riferimento ad un’occupazione abusiva e dagli istanti qualificata risarcitoria.
Il motivo e’ fondato.
Va premesso che,per costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, all’ipotesi di risoluzione del contratto, quale che sia la parte inadempiente, conseguono comunque con effetto ex lune le restituzioni dei beni, il possesso o la cui detenzione sia stata trasferita in virtu’ del negozio, poi caducatole dei frutti dallo stesso prodotti o producibili.
E’ pur vero che,secondo la stessa giurisprudenza (citata nella sentenza impugnata), tale principio sostanziale va coordinato con quello processuale della necessita’ di una domanda, ma nel caso di specie, diversamente da quanto ritenuto dalla corte di merito, la richiesta deve considerarsi compresa in quella, formulata fin dal primo grado dagli odierni ricorrenti, che sia pure impropriamente qualificandola di “risarcimento danni” (che possono comunque aggiungersi agli effetti resti tutori, ove l’inadempimento abbia cagionato ulteriori pregiudizi patrimoniali), hanno tuttavia inequivocamente e sostanzialmente chiesto la restituzione del bene consegnato in forza del contratto, poi risolto, indicando quale ragione giustificativa di tale richiesta il fatto sostanziale costituito dalla indebita occupazione dell’appartamento. In altri termini, il fatto costitutivo dedotto a sostegno della richiesta, il cui inquadramento giuridico in ultima analisi ed in base al bimillenario principio processuale da mihi factum, dabo tibi ius, compete al giudice (v. tra le altre Cass. nn. 19630/11, 17457/10, 3012/10, 19090/07, 18513/07, 9087/06), risulta quello della detenzione sine titulo dell’immobile, rispetto alla quale l’ulteriore assunto connotato di illiceita’ ha costituito un quid pluris, la cui esclusione da parte del giudice,fermo restante il petitum, non avrebbe snaturatola soltanto ridimensionato la causa petendi, da individuarsi, a termini della citata giurisprudenza,nel fatto giuridicamente rilevante addotto a sostegno della richiesta, indipendentemente dalla qualificazione allo stesso attribuita dal deducente.
Conseguentemente il giudice non avrebbe potuto limitarsi a disporre la restituzione dell’immobile, detenuto in virtu’ del titolo poi risolto,ma anche accogliere ai sensi degli articoli 1458 e 1148 c.c., la domanda accessoria relativa al rimborso dei frutti prodotti, tra la data della consegna e quella del rilascio, dallo stesso, costituente un bene per sua natura redditizio, indipendentemente dalla buona fede dei promissari acquirenti,dovendo costoro essere considerati non possessori, bensi’ detentori del bene che loro era stato consegnato dai proprietari possessori (v. S.U. n. 7930/08), in virtu’ di un titolo,la promessa di vendita, poi retroattivamente caducato dalla pronunzia risolutoria.
Con il terzo motivo si deduce violazione degli articoli 1458, 1223, 1226, 2697 c.c., e carenza di motivazione, con riferimento alla domanda di riduzione in pristino degli immobili, per il cui accoglimento sarebbe stata sufficiente l’acquisita prova dell’immutazione dello stato dei luoghi, censurandosi, in quanto inadeguata, l’argomentazione secondo cui gli immobili erano stati venduti, senza che risultasse provato l’incasso di un minor prezzo.
Il motivo e’ privo di fondamento, tenuto conto che la domanda di riduzione in pristino, per l’illegittima, in quanto non consentita dai promittenti venditori, modificazione degli immobili, integrando una richiesta di risarcimento in forma specifica, non diversamente da quella in forma pecuniaria per equivalente, rinvenendo la propria causale in un atto illecito, avrebbe richiesto la prova non solo della condotta,ma anche di un concreto pregiudizio patrimoniale cagionato ai soggetti passivi. Ne consegue che, in difetto di tale prova, incombente sugli assunti danneggiati, correttamente la corte ha riformato, rigettando il capo di domanda, la statuizione di accoglimento pronunziata dal primo giudice, pur in assenza di alcun elemento comprovante che gli odierni ricorrenti avessero a loro spese ripristinato la separazione dei due “mini appartamenti” o che la vendita degli immobili, resi comunicanti dai detentori senza titolo e cosi’ mantenuti dopo la restituzione, fosse avvenuta ad un prezzo inferiore rispetto a quelli ricavabili tenendoli distinti.
Conclusivamente, respinti il primo e terzo motivo ed accolto il secondo, la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e terzo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania.