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Federproprietà AbruzzoCompravenditaCorte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza 22 febbraio 2013, n. 4629

Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza 22 febbraio 2013, n. 4629

Come si interpreta il contratto di compravendita? Che differenza è tra "vani" e "stanze"?

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere
Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. SCALISI Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2357/2007 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 1850/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/01/2013 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore dei resistenti che si riporta agli atti depositati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS), con atto notificato in data 23/28.03.1991 citava in giudizio avanti al Tribunale di Roma (OMISSIS), esponendo di essere proprietario dell’appartamento sito in (OMISSIS), piano 1, int. 4 composto da 3 camere ed accessori per averlo acquistato dalla (OMISSIS) srl con atto a rogito notaio (OMISSIS) in data 28.10.1985. Precisava che tale appartamento era stata acquistato dalla (OMISSIS) da (OMISSIS) con rogito del 2.6.83 e che una stanza di tale appartamento, sita a sinistra della porta d’ingresso era stata occupata senza titolo dal vicino di casa, lo stesso (OMISSIS), che abitava ed era proprietario dell’adiacente appartamento int. 3. Tutto cio’ premesso, chiedeva l’attore che il tribunale accertasse la proprieta’ in suo favore della stanza in contestazione, con la condanna del convenuto all’immediato rilascio della stessa, disponendo la chiusura a sua spese dell’accesso a tale locale aperto sul lato dell’appartamento di proprieta’ del convenuto medesimo.

Si costituiva in giudizio il (OMISSIS) chiedendo il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale l’accertamento del proprio diritto di proprieta’ del locale in parola, sostenendo che lo stesso non era compreso nell’atto di vendita con cui esso (OMISSIS) aveva trasferito il diritto di proprieta’ dell’appartamento int. 4 alla (OMISSIS), dante causa dell’attore. L’adito Tribunale di Roma, con sentenza n. 20958 (OMISSIS) era proprietario della stanza in contestazione e condannava il (OMISSIS) al rilascio dello stessa.

(OMISSIS)Antonietta @Di Serio (OMISSIS)Catania (OMISSIS)Lucia @Perpignano(OMISSIS) (OMISSIS) successori a titolo particolare dello stesso (OMISSIS), da cui avevano acquisto la nuda proprieta’ del suo appartamento. La causa era interrotta a seguito della morte dall’appellante (OMISSIS), ma veniva riassunta dagli intervenuti Perpignano(OMISSIS)Marsicovetere.

L’adita Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 1850 (OMISSIS)Lucia @Perpignano(OMISSIS) (OMISSIS); condannava il (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali in favore degli appellanti. La corte capitolina perveniva a tale conclusione sulla base di un’interpretazione dei contratto ed a suo avviso dalle emergenze istruttorie emergeva una difformita’ tra la consistenza catastale e quella effettiva dell’appartamento interno 4 di proprieta’ del (OMISSIS) giustificabile come conseguenza di un errata denuncia di accatastamento; che peraltro la dante causa del (OMISSIS), la (OMISSIS), gli aveva trasferito detto appartamento nello stato di fatto in cui si trovava sin da epoca anteriore al 1950 vale a dire composto da due camere, cucina ed accessori, quindi senza la stanza per cui e’ causa.

Avverso la suddetta decisione (OMISSIS) ricorre per cassazione sulla base di n. 7 censure; resiste con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1350, 1326, 1362, 2725 e 2730 e 2731 c.c. con riferimento all’interpretazione dei contrato di compravendita riguardante l’appartamento di cui trattasi. A suo avviso il testo contrattuale e’ di “assoluta chiarezza” per cui “il lavoro interpretativo della Corte di merito avrebbe dovuto concludersi, in conformita’ della consolidata giurisprudenza in materia (che cita), che ha ritenuto che nei contratti per i quali e’ prevista la forma scritta ad substantiam….la ricerca della comune volonta’ delle parti, effettuabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocita’, dev’essere fatta con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volonta’ contenute nel testo scritto, mentre non e’ consentito valutare il comportamento delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non puo’ spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto”. Nel relativo quesito di diritto, l’esponente aggiunge che tale documento non “puo’ essere sostituito da una dichiarazione confessoria dell’altra parte…potendo il requisito della di forma ritenersi soddisfatto solo se il documento costituisca l’estrinsecazione formale e diretta della volonta’ negoziale di tutte le parti stipulanti il contratto, senza alcuna possibilita’ d’integrazione attraverso il ricorso a prove storiche, non consentite dall’articolo 2725 c.c.”.

Con il 2 motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulle circostanze di cui sopra, si sostiene quanto all’interpretazione testuale del contratto, che la clausola contrattuale (“nello stato di fatto e di diritto in cui l’immobile si trova”) non e’ altro che una clausola di stile, mentre la descrizione dell’appartamento contenuta nell’articolo 1 di entrambi i contratti sarebbe “identica” quanto al numero delle stanze e quello dei vani catastali. Quanto al richiamo ai contratti di locazione che hanno avuto ad oggetto l’appartamento in questione, essi non hanno rilievo trattandosi di “res inter alios”, mentre non hanno alcun valore le ammissioni rese dal proprio procuratore circa lo stato di consistenza dell’immobile ne’ ha significato il notevole ritardo (di 6 anni) con il quale il (OMISSIS) si e’ lamentato per la mancanza di una camera nell’appartamento da lui acquistato.

Con il 3 motivo si denunzia la violazione degli articoli 1350, 2730 e 2731 c.c. e articolo 84 c.p.c.; con il 4 motivo, l’omesso esame di un documento decisivo per la soluzione della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 4) e con il 5 motivo si eccepisce: l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Con il 6 motivo: omesso esame di un documento: contrasto tra la situazione catastale e la situazione di fatto: la situazione di fatto non rileva se in contrasto con l’atto scritto.

Con il 7 motivo infine si denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulle stesse circostanze. Secondo il Collegio le suddette censure possono essere esaminate congiuntamente, essendo strettamente connesse, facendo esse riferimento in definitiva all’interpretazione del contratto operata dalla corte capitolina e non condivisa dal ricorrente. Tali doglianze non hanno giuridico pregio, non ravvisandosi alcuna delle violazioni delle leggi denunciate, mentre, d’altra parte, la motivazione della sentenza appare corretta ed immune da vizi logici e giuridici. Invero la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico piu’ idoneo all’accertamento della comune intenzione dei contraenti non e’ sindacabile in sede di legittimita’ qualora sia stato rispettato il principio del “gradualismo”, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari… quando il significato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti sia insufficiente all’identificazione della comune intenzione ed il giudice fornisca compiuta ed articolata motivazione della ritenuta equivocita’ ed insufficienza del dato letterale (Cass. n. 9910 del 24/05/2004).

Nella fattispecie non puo’ dirsi che il testo contrattuale sia di “assoluta chiarezza” – come pretende il ricorrente – almeno per quanto riguarda la descrizione dell’appartamento nei due contratti esaminati, che non e’ affatto identica “per quanto concerne le parole utilizzate: nel contratto (OMISSIS) – (OMISSIS) del 1985 si legge che l’appartamento e’ composto da “tre stanze piu’ accessori”, mentre in quello precedente (OMISSIS) – (OMISSIS) del 1983 si parla di “tre vani ed accessori”; corrisponde invece il numero dei vani catastali (5,5) in entrambi i contratti. Ora com’e’ noto il concetto di “stanza” non coincide con quello di “vano”, ne’ i vani catastali corrispondono ai vani fisici dell’abitazione, cosi’ come risulta dalle specifiche disposizioni di legge in materia (v. R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 e Decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1949, n. 1142 – regolamento formazione NCEU: vani principali, vani accessori, diretti e complementari, dipendenze) Poste tali premesse, l’esegesi dei contratto proposta dal giudice distrettuale appare del tutto corretta e condivisibile quanto alle conclusioni cui e’ pervenuta e cioe’ che il contratto di acquisto del ricorrente si riferisse effettivamente ad un appartamento di due camere (oltre accessori) ne’ potendosi escludere che vi sia corrispondenza con il numero dei vani catastali (5,5) indicati in contratto, che, com’e’ noto, sono calcolati in modo particolare come previsto dall’indicata normativa specifica (R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652 e d.p.r. 1 dicembre 1949, n. 1142). Al riguardo questa Corte non ignora la giurisprudenza richiamata dal ricorrente in tema d’interpretazione dei contratti in cui e’ prevista la forma scritta ad substantiam: nel caso in esame pero’ la questione interpretativa si riduce a stabilire la valenza del vocabolo “vani” e “stanze” che si legge nei due contratti e le censure in esame in definitiva si risolvono in questioni di merito, inammissibili in questa sede di legittimita’.

Il ricorso dev’essere dunque rigettato. Per il principio della soccombenza, le spese processuali sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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