Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza 19 marzo 2013, n. 6828
La Cassazione cerca di ricostruire un intricato caso di pagamenti incrociati a seguito dei lavori in appalto e finanziamenti versati in seguito a terremoto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ODDO Massimo – Presidente
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere
Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2627/2007 proposto da:
(OMISSIS) SAS (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
- ricorrenti -
e contro
(OMISSIS) SNC;
- intimati -
sul ricorso 7606/2007 proposto da:
(OMISSIS) SNC (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
- controricorrente ricorrente Incidentale -
e contro
(OMISSIS) SAS, (OMISSIS), (OMISSIS);
- intimati -
avverso la sentenza n. 22/2006 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/01/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;
udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS) difensore del resistente che ha chiesto di depositare nota spese e il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per riunione e rigetto di entrambi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 27-3-1987 la s.n.c. (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Ancona la s.a.s. (OMISSIS) chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 53.115.512 pari all’importo dei lavori edili eseguiti nei locali di (OMISSIS), nella disponibilita’ della convenuta.
La societa’ (OMISSIS) costituendosi in giudizio assumeva di essere tenuta a pagare soltanto i lavori concernenti la sua attivita’ commerciale e non anche quelli eseguiti sulle parti strutturali dell’immobile, non di sua proprieta’, e sosteneva di aver gia’ corrisposto alla societa’ attrice la somma di lire 80.000.000, superiore a quella richiesta, per cui proponeva domanda riconvenzionale per la restituzione della differenza.
In un successivo atto di citazione notificato il 27-7-1988 il predetto importo di lire 53.115.512 veniva rettificato in lire 93.331.119, e si precisava che l’importo originario costituiva soltanto il residuo dovuto al netto degli acconti versati dalla committente.
Con atto di citazione del 17-10-1989 la societa’ (OMISSIS), premesso che la societa’ (OMISSIS) al momento della conclusione del contratto di appalto era costituita nella forma della societa’ in nome collettivo e che i soci della stessa erano (OMISSIS) e (OMISSIS), successivamente receduti, ma personalmente responsabili delle obbligazioni assunte prima del recesso, estendeva ai medesimi (OMISSIS) e (OMISSIS) la richiesta di adempimento dell’obbligazione pecuniaria.
Integrato il contraddittorio il (OMISSIS) faceva valere, con eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio della societa’, mentre la societa’ (OMISSIS) ed il convenuto (OMISSIS) eccepivano la litispendenza.
Riuniti i procedimenti, il Tribunale adito con sentenza del 28-1-1998 respingeva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal (OMISSIS) e, ritenuta la causa non sufficientemente istruita in relazione sia alla determinazione dell’ammontare del corrispettivo per i lavori eseguiti che all’entita’ degli acconti sui corrispettivi percepiti, con separata ordinanza rimetteva la causa in istruttoria.
Con sentenza definitiva del 3-6-2003 il Tribunale di Ancona dichiarava che l’importo complessivo dovuto per l’esecuzione in appalto dei lavori edili nei locali situati in (OMISSIS), era pari a lire 79.620.245, e che da detto importo dovevano essere detratti sia la somma di lire 39.215.617 corrisposta dalla societa’ (OMISSIS) in pagamento della fattura n. (OMISSIS), sia gli importi degli assegni emessi dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), ammontanti a lire 40.000.000; per l’effetto condannava la societa’ (OMISSIS) al pagamento del residuo importo di euro 208,92, pari a lire 404.528, in favore della societa’ attrice, con gli interessi legali dalla domanda al saldo; dichiarava il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) personalmente ed illimitatamente responsabili, in qualita’ di soci, per il pagamento, in favore della societa’ attrice, del predetto residuo importo di euro 208,92 con gli interessi legali, e respingeva le domande riconvenzionali.
Proposto gravame da parte della (OMISSIS) cui resistevano la societa’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS) che introducevano anche un appello incidentale la Corte di Appello di Ancona con sentenza del 21-1-2006 ha rigettato entrambe le impugnazioni.
Per la cassazione di tale sentenza la s.a.s. (OMISSIS) ed il (OMISSIS) hanno proposto un ricorso articolato in quattro motivi cui la s.n.c. (OMISSIS) ha resistito con controricorso proponendo altresi’ un ricorso incidentale basato su due motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposto contro la medesima sentenza.
Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo la societa’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS), deducendo violazione e falsa applicazione dell’articolo 39 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per non aver ravvisato la litispendenza tra la causa introdotta con atto di citazione del 27-3-1987 e quella iscritta al n. R.G. 2125/1988, atteso che il credito in relazione al quale si chiedeva la condanna nella prima causa era lo stesso di cui si chiedeva l’accertamento nella seconda causa, e che pertanto il fatto costitutivo del diritto era identico nelle due cause; quindi sussisteva la litispendenza per la seconda causa.
La censura e’ infondata.
Premesso che la sentenza impugnata ha disatteso l’eccezione di litispendenza in quanto ha ritenuto che tra il procedimento promosso con l’atto di citazione del 27-3-1987 e quello successivo (R. G. n. 2125/1988) non esisteva perfetta coincidenza di “petitum” e “causa petendi”, e’ agevole rilevare che la contemporanea pendenza davanti al medesimo giudice, da intendersi come ufficio giudiziario, di piu’ procedimenti relativi alla stessa causa (come nella fattispecie), non e’ riconducitele all’ambito di disciplina dell’articolo 39 primo comma c.p.c., che postula la pendenza della stessa causa davanti a giudici diversi, ma da luogo all’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 273 c.p.c. (Cass. 19-7-2004 n. 13348; Cass. Ord. 21-4-2010 n. 9510).
Con il secondo motivo i ricorrenti principali, denunciando violazione dell’articolo 112 c.p.c., assumono che la Corte territoriale ha omesso l’esame della domanda dell’esponente avente ad oggetto il risarcimento dei danni per la difettosa esecuzione dei lavori nella misura di lire 600.000; infatti, premesso che la prova documentale di tali danni era costituita sia dalla perizia del consulente di parte (OMISSIS) sia dalla mancata contestazione della controparte, la societa’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS) rilevano che le stesse risultanze della CTU avevano evidenziato la sussistenza dei danni stessi, anche se le sentenze di primo grado non li avevano liquidati perche’ non sarebbe stata individuata la causa dei difetti riscontrati; in realta’ l’accertamento dell’esistenza dei danni lamentati era sufficiente per procedere alla loro liquidazione.
La censura e’ infondata.
La sentenza impugnata si e’ pronunciata sulla suddetta domanda assumendo che la societa’ (OMISSIS) non aveva minimamente provato i presunti danni lamentati ed aveva omesso persino di chiedere al giudice di formulare al CTU uno specifico quesito al riguardo; orbene tale “ratio decidendi” non e’ stata specificatamente impugnata dai ricorrenti principali, che non hanno neppure evidenziato la natura di tali pretesi danni e che comunque erroneamente ritengono risarcibili dei danni di cui, seppure esistenti, non e’ stata accertata la causa, difettando in tale ipotesi la riconducibilita’ degli stessi alla responsabilita’ dell’appaltatrice.
Con il terzo motivo i ricorrenti principali, deducendo vizio di motivazione, assumono che il giudice di appello non ha almeno sufficientemente espresso le ragioni del rigetto della domanda riconvenzionale con la quale la societa’ (OMISSIS) aveva chiesto la condanna della controparte alla restituzione della somma di lire 25.996.199 riguardante il corrispettivo di lavori di ristrutturazione dell’immobile dovuto dai proprietari del bene, e non certo dall’inquilino; aggiungono che detti proprietari avevano ottenuto il rimborso di tale somma dalla Regione Marche a titolo di risarcimento danni determinati dal terremoto.
Con il quarto motivo la societa’ (OMISSIS) ed il (OMISSIS), denunciando violazione dell’articolo 112 c.p.c. e vizio di motivazione, ribadiscono la mancanza di sufficienti argomentazioni della sentenza impugnata a fondamento del rigetto della domanda riconvenzionale di cui al precedente motivo, e sottolineano la rilevanza, contrariamente all’assunto del giudice di appello, della documentazione prodotta, che provava che il costo dei lavori di ristrutturazione dell’immobile era stato rimborsato alle proprietarie di esso signore (OMISSIS) e (OMISSIS) dalla Regione Marche a titolo di risarcimento danni provocati dal terremoto.
Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondate.
Premesso che il giudice di appello in relazione alla domanda riconvenzionale della societa’ (OMISSIS) per la restituzione di somme non dovute ha affermato che la documentazione prodotta dalla suddetta societa’ era del tutto irrilevante ai fini del decidere, si osserva che i ricorrenti principali, censurando in modo generico la valutazione che la Corte territoriale aveva effettuato in proposito, avrebbero avuto l’onere, in realta’ non assolto, di trascrivere il contenuto di tali documenti, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo sulla decisivita’ delle fatti emergenti dai documenti stessi deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non e’ possibile sopperire con indagini integrative.
Puo’ aggiungersi che comunque la circostanza che le spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile fossero state rimborsate dalla Regione Marche ai proprietari del bene era del tutto irrilevante rispetto all’oggetto dell’appalto stipulato tra le parti e quindi al relativo corrispettivo.
Procedendo a tal punto all’esame del ricorso incidentale, si osserva che con il primo motivo la societa’ (OMISSIS), denunciando omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’assunto dell’appellante principale secondo cui i due assegni per l’importo complessivo di lire 40.000.000 rilasciati dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) all’esponente riguardavano un rapporto diverso rispetto a quello costituito dall’appalto intervenuto tra le parti in causa; in realta’ dalla documentazione prodotta (il cui contenuto e’ stato trascritto in ricorso), ed in particolare dall’atto di querela del 24-10-1986 sporto nei confronti di (OMISSIS), emergeva chiaramente che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), avendo interesse al rilascio dei locali di proprieta’ della (OMISSIS) da parte del conduttore (OMISSIS) che vi svolgeva l’attivita’ di tipografo, avevano versato la suddetta somma di lire 40.000.000 alla societa’ (OMISSIS) per eseguire i necessari lavori nel locale di proprieta’ dello stesso (OMISSIS) in via (OMISSIS) per consentire a quest’ultimo di proseguire ivi la sua attivita’; in tale contesto era particolarmente rilevante la scrittura privata del (OMISSIS) intervenuta tra la (OMISSIS) ed il (OMISSIS) con la quale la prima, onde agevolare il rilascio dei locali da parte del suddetto tipografo, si obbligava a far eseguire dalla societa’ (OMISSIS) i lavori ivi specificatamente indicati nel locale di via (OMISSIS).
La censura e’ infondata.
La Corte territoriale ha ritenuto non raggiunta la prova che tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) da un lato e la societa’ (OMISSIS) dall’altro esistesse un ulteriore rapporto obbligatorio rispetto a quello nascente dall’appalto in base al quale i primi due sarebbero stati tenuti nei confronti dell’attuale ricorrente incidentale a pagare il corrispettivo dei lavori di ristrutturazione del locale nel quale si sarebbe trasferito il precedente conduttore dei locali di (OMISSIS); si tratta di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione non superabile dal contenuto dei documenti prodotti dalla societa’ (OMISSIS) relativi alla predetta querela ed alla dichiarazione della proprietaria di detti locali di avere assunto l’obbligo di far eseguire i lavori di ristrutturazione del locale di proprieta’ del (OMISSIS) e di avere concordato con l’appaltatore (e non anche con i nuovi conduttori degli immobili di sua proprieta’) di non corrispondere nulla per tali lavori, in quanto insufficienti a sollevare la societa’ appaltatrice dall’onere di fornire la prova dell’assunzione dell’obbligo di pagare il relativo corrispettivo di tali lavori da parte dei nuovi conduttori.
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale, deducendo insufficiente motivazione, sostiene che era stato un accordo tra (OMISSIS), il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) riguardante la spesa per i lavori di sistemazione della nuova sede del (OMISSIS), lavori che la societa’ (OMISSIS) stata gia’ eseguendo al momento della consegna in data 25-11-1985 dei due suddetti assegni per averli gia’ pattuiti con la proprietaria dell’immobile di (OMISSIS) e con il (OMISSIS) fin dal 4-10-1985; inoltre dall’esame della dichiarazione del 25-11-1985 del legale rappresentante della societa’ appaltatrice non risultava affatto evidente, come invece affermato dalla sentenza impugnata, che i predetti assegni fossero stati rilasciati a titolo di pagamento del corrispettivo dell’appalto che la societa’ (OMISSIS), all’epoca non ancora costituita, avrebbe stipulato con l’esponente.
La censura e’ infondata.
La sentenza impugnata ha rilevato che i due assegni sopra menzionati furono rilasciati dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS) “a garanzia del pagamento di lire 40.000.000 che dovra’ essere effettuato dalla costituenda societa’ per la gestione di un bar in (OMISSIS)”, secondo la chiara dichiarazione rilasciata il 25-11-1985 dal legale rappresentante della societa’ appaltatrice al momento delle recezione dei suddetti titoli; ha aggiunto che detta scrittura prevedeva la restituzione degli assegni e la loro sostituzione con altri a firma della societa’ entro il 15-12-1985, ma che cio’ non era avvenuto, per cui erano stati posti all’incasso; pertanto la suddetta somma, costituendo corrispettivo dell’appalto, doveva essere detratta dall’importo complessivo dei lavori appaltati.
Avendo quindi il giudice di appello indicato esaurientemente le fonti probatorie del proprio convincimento in ordine alla causale della dazione dei due suddetti assegni, si e’ in presenza di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove la ricorrente incidentale tende inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione della vicenda senza oltretutto riportare il contenuto integrale della dichiarazione del 25-11-1985, dalla quale risulterebbe, secondo il suo assunto, che la somma di lire 40.000.000 era stata versata in conto di quanto concordato.
In definitiva anche il ricorso incidentale deve essere rigettato.
Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE
Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.