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Federproprietà AbruzzoComunioneCassazione Civile, Sezione III, Sentenza 20 luglio 1991 n. 8110

Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza 20 luglio 1991 n. 8110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Giovanni MEO Presidente Giuseppe TROPEA Consigliere Alberto SCIOLLA LAGRANGE Giorgio CHERUBINI Lorenzo PITTÀ Rel. ha pronunciato […]

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Giovanni MEO Presidente
Giuseppe TROPEA Consigliere
Alberto SCIOLLA LAGRANGE
Giorgio CHERUBINI
Lorenzo PITTÀ Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

PB, PCT, PD e DMC VED. PF successori di PF elettivamente domiciliati in Roma c-o la Cancelleria Civile della Suprema Corte di Cassazione rappresentati e difesi dall’Avv. Giuseppe Vinco da Sesso – con studio in Verona – Via S. Maria in Chiavice, n.3 giusta procura a margine del ricorso.

RICORRENTI

CONTRO

DMD e DMP

INTIMATI

DMD e DMP elettivamente domiciliati in Roma – Via F. Cesi n. 21 c-o lo studio dell’Avv. Guido Salerno che li rappresenta e li difende unitamente all’Avv. Sergio Tiso giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale.

CONTRORICORRENTI E RICORRENTI INCIDENTALI

CONTRO

PB, PCT, PD e DMC ved. PF.

INTIMATI

Visti i ricorsi avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia del 16.11-18.2.88 (R.G. 321-86)
Udito il Cons. Relatore Dott. Lorenzo Pittà nella pubblica udienza del 22.10.1990.
Udito per il ricorrente l’avv. G. Vinco da Sesso;
Udito per il resistente l’avv. G. Salerno.
Udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. G. Tridico che ha concluso per l’accoglimento del II motivo del ricorso principale,rigetto del I ed inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto
Svolgimento del processo

PF, proprietario di un terzo indiviso dell’azienda “Albergo”, affittata con contratto già disdetto, a DMD e DMP, conveniva costoro in giudizio per ottenere il rilascio dell’azienda ed il risarcimento dei danni.

I convenuti deducevano che, nella fattispecie, dovessero trovare applicazione le norme che regolano la locazione degli alberghi.

Il tribunale dichiarava cessato il contratto d’affitto d’azienda – così qualificato il rapporto intercorso tra le parti – e disponeva che i convenuti riconsegnassero detta azienda all’attore; rigettava ogni altra domanda e compensava le spese.

Avverso tale decisione interponevano appello i DM censurando la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini e la statuizione che aveva ritenuto valida la disdetta.

Si costituivano PB, PCT e PD, nonché CDM, vedova PF, quali successori dell’originario attore, frattanto deceduto, i quali proponendo appello incidentale, chiedevano, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, la condanna dei DM al risarcimento dei danni da liquidarsi, in proprio favore, in separata sede.

Nel corso del giudizio d’appello i DM chiedevano che la domanda proposta nei loro confronti fosse dichiarata inammissibile perché, in seguito alla morte del loro genitore, comproprietario di un altro terzo “pro indiviso” dell’azienda e, quindi, contitolare del contratto d’affitto della stessa, erano subentrati, quali eredi, nei diritti del loro dante causa.

I p e la DM insistevano per l’accoglimento del loro appello incidentale.

Con sentenza del 16 novembre 1987, la Corte d’appello di Venezia dichiarava inammissibile la domanda proposta nei confronti dei DM per ottenere la riconsegna dell’albergo “Albergo” di cui i predetti era divenuti comproprietari di un terzo pro indiviso, e dichiarava inammissibile, perché tardivo, l’appello incidentale proposto dai p e dalla DM; compensava, infine, le spese.

Per la cassazione della suddetta sentenza i P e la DMC hanno proposto ricorso la cui fondatezza è stata contestata da DMD e DMP che, a loro volta, hanno proposto ricorso incidentale.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto
Motivi della decisione

Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti.

I P e la DMC, col primo motivo del ricorso – censurano l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1.103, 1615, 1.618 e 1.591 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., rilevando che la Corte d’appello ha affermato il principio secondo cui la domanda di rilascio di un immobile in comunione, concesso in affitto, diviene inammissibile quando il conduttore acquista la comproprietà del bene per successione ad uno dei condomini, senza considerare che un condomino può essere anche conduttore del suddetto immobile, essendo di titolare di due rapporti autonomi ed indipendenti l’uno dall’altro, disciplinati da norme diverse riguardanti il condominio e l’affitto; sicché la modifica di uno dei due rapporti non influisce sull’altro.

Nella fattispecie gli affittuari – pur avendo acquistato per successione la proprietà di un terzo indiviso dell’azienda – continuavano a rispondere nei confronti del condominio dell’inadempimento devante dal contratto d’affitto stipulato, appunto, con il condominio; conseguentemente cessato l’affitto, era venuto meno il titolo idoneo a legittimare negli affittuari il godimento e la detenzione dell’azienda e non avendola riconsegnata al condominio dovevano risarcire allo stesso i danni derivanti da tale inadempimento.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha dichiarato inammissibile la domanda di rilascio rilevando – sostanzialmente – che lo stesso non può essere ottenuto nei confronti dei successori dell’originario comproprietario dell’azienda, perché costoro ne sono divenuti anche comproprietari; sicché in virtù del nuovo titolo di comproprietà non potevano essere condannati al rilascio basato sul diverso titolo dell’affitto, incompatibile con quello di comproprietà.

Tale motivazione è immune da vizi logici o giuridici perché, anche quando venga pronunciata risoluzione del contratto di locazione (o di affitto come nella fattispecie) avente per oggetto un bene comune, locato (o affittato) ad uno dei comproprietari per inadempimento del conduttore, questo – avendo diritto al godimento dello stesso in proporzione della sua quota di proprietà – non può essere condannato al rilascio del bene medesimo agli altri comproprietari, restando, invece, ai comunisti la facoltà di disciplinare l’ordinaria amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei contitolari del bene, delle sue facoltà di godimento e così, eventualmente, di ricorrere, in caso di persistente disaccordo all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 1.105 ultimo comma del c.c.; per la nomina di un amministratore (cfr.: Cass. 22.5.1982 n. 3143).

Col secondo motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione del principio giuridico relativo al termine assegnato per la proposizione dell’appello incidentale, a norma degli artt. 333 e 343 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., laddove la Corte d’appello aveva ritenuto tardivo e dichiarato inammissibile il loro appello incidentale, considerandolo autonomo, mentre era connesso all’appello principale perché il locatore – avendo ottenuto l’accoglimento della domanda principale di risoluzione del contratto d’affitto e non anche quella di risarcimento dei danni – dipendente dalla domanda principale – aveva proposto per tale capo di rigetto della sentenza, appello incidentale connesso con quello principale proposto dai convenuti condannati al rilascio dell’azienda.

Il motivo – alla stregua del più recente orientamento, di questa Corte – è fondato, ed infatti: “Poiché ai fini dell’inammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva l’art. 334 c.p.c. richiede soltanto i presupposti della soccombenza parziale, dell’impugnazione principale della controparte dell’ammissibilità di questa, senza alcun riferimento a limitazioni oggettive, le parti contro le quali è stata proposta impugnazione possono proporre impugnazione incidentale, anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza, avverso qualsiasi statuizione di essa ad esse sfavorevole ed anche quando si tratti di capi autonomi della pronuncia, (Cass. 6.4.1990 n. 2.911; cfr. anche: Cass. 28.3.1990 n. 2530).

Col ricorso incidentale i DM sostengono che i successori di PF, prima di proseguire nell’azione diretta ad ottenere la prestazione, avrebbero dovuto provvedere – a norma del secondo comma dell’art. 1.320, in relazione agli artt. 1253 e 1.254 c.c., ad addebitarsi o a rimborsare il valore della parte del credito di cui essi DM erano divenuti titolari succedendo al loro genitore, nei diritti di comproprietà dell’azienda; sicché la Corte d’appello non avrebbe dovuto limitarsi a rigettare la domanda di riconsegna dell’immobile ostando a tale riconsegna il loro nuovo titolo dominicale ma avrebbero dovuto rigettarla anche perché i successori del PF non avevano provveduto a quanto previsto dalle suddette norme (primo motivo) e, in subordine, per la stessa ragione, avrebbero dovuto rigettare la domanda di risarcimento (secondo motivo).

Siffatto ricorso è inammissibile perché i ricorrenti prospettano una questione nuova – non dedotta in appello – pretendendo una diversa motivazione a sostegno del rigetto delle domande formulate nei loro confronti, non considerando che è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o di nuovi temi di contestazione, nel giudizio di legittimità, quando tali questioni o temi implicano una modificazione dei termini della controversia o diano luogo alla formulazione di domande od eccezioni nuove non rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. 6-10-1984 n. 4986. Cass. 12-2-1982 n. 869).

L’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale comporta – in relazione al motivo stesso – la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia che dovrà esaminare l’appello incidentale e pronunciarsi su di esso ed anche in ordine alle spese processuali del grado di giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia anche per la statuizione sulle spese di questo grado del giudizio.

Così deciso, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in Roma, il ventidue ottobre 1990.

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