Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza 16 maggio 2006 n. 11371
Fino a quanto si estendono le responsabilità dell'appaltatore?
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente -
Dott. MAZZA Fabio – Consigliere -
Dott. FILADORO Camillo – Consigliere -
Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere -
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.G.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA CAVA AURELIA 193, presso lo studio dell’avvocato IACOPINO GIUSEPPE, che lo difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
Z.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GREGORIO VII 500, presso lo studio dell’avvocato PAVONE GIUSEPPE, che lo difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
P.M.;
- intimato -
e sul 2° ricorso n. 00936/03 proposto da:
P.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA BALDO DEGLI UBALDI 250, presso lo studio dell’avvocato CORRADI MARCELLO, che lo difende, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
D.G.S., Z.L.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2298/02 della Corte d’Appello di ROMA, sezione quarta civile, emessa il 29/03/02, depositata il 12/06/02, R.G. 86+898/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/06 dal Consigliere Dott. Roberta VIVALDI;
udito l’Avvocato Giuseppe IACOPINO;
udito l’Avvocato Marcello CORRADI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
Fatto
Con sentenza in data 18.3.1999 il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda proposta da D.G.S. – quale proprietario di un appartamento sito in Roma, via (OMISSIS) – condannava Z.L. – quale proprietario di quello sovrastante – al risarcimento del danno quantificato in L. 33.240.000, causato da infiltrazione d’acqua, provocata dal distacco di uno dei tubi di allaccio dell’impianto termico del convenuto, i cui radiatori erano stati smontati nel corso dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento di sua proprietà.
Con la stessa sentenza il Tribunale rigettava la domanda proposta dal convenuto nei confronti di P.M. – terzo chiamato in causa – per difetto di prova circa il preteso trasferimento della custodia dell’appartamento al P. e circa l’asserita sua qualità di appaltatore dei lavori.
Avverso la sentenza proponeva appello il D.G. chiedendone la riforma.
Resisteva lo Z. che proponeva, a sua volta, appello incidentale in ordine all’affermazione della propria responsabilità, in assenza di ogni sua colpa rispetto ad un evento addebitabile all’appaltatore dei lavori.
Si costituiva anche il P. che contestava gli assunti avversari e sosteneva, in via incidentale, di non avere assunto la qualifica di appaltatore, essendosi limitato a fungere da intermediario tra lo Z., suo zio, e gli artigiani.
Sosteneva, pertanto, di essere estraneo alla vicenda; che l’obbligo di custodia e di vigilanza ex art. 2051 c.c. incombeva al proprietario dell’appartamento e che, in ogni caso, l’evento era da addebitare alla moglie dell’attore per avere riattivato l’impianto termico omettendo di avvisare l’amministratore del condominio.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza in data 12.6.2002, accoglieva, per quanto di ragione, l’appello proposto da Z. L., dichiarava assorbiti gli altri, ed, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda proposta da D.G. S. contro Z.L., compensando fra le parti le spese processuali.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso principale D.G. S. affidandosi a cinque motivi; ricorso incidentale Z. L. e P.M., affidandosi, il primo ad un motivo ed il secondo a due motivi.
Il D.G. ha anche presentato memoria.
Diritto
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi principale ed incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Ricorso principale.
Deve rilevarsi in primo luogo che il controricorrente e ricorrente incidentale Z.L. ha sollevato eccezione di nullità della procura conferita dal D.G. in quanto “il mandato alle liti conferito dal D.G. al proprio difensore non appare conferito specificatamente per il ricorso dinnanzi alla Suprema Corte”.
Il vizio, benchè sollevato nel controricorso e ricorso incidentale inammissibile perchè tardivo – per le ragioni che sono più oltre indicate – va esaminato d’ufficio dalla Corte.
Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, la procura speciale non può essere rilasciata in calce o a margine di atti diversi dal ricorso, stante il disposto tassativo dell’art. 83 c.p.c., comma 3, che implica la necessaria esclusione dell’utilizzabilità di atti diversi da quelli indicati, con la conseguente invalidità della procura medesima ove non sia apposta in uno degli atti richiamati nella suddetta norma.
Tale vizio, incidendo sulla validità del rapporto processuale, va rilevato d’ufficio, con consequenziale declaratoria di inammissibilità del ricorso, indipendentemente dall’eccezione della parte interessata (Cass. 18.1.2006 n. 823).
Il vizio, nel caso di specie, non sussiste.
Infatti, il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l’impugnazione si rivolge, sempre che dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità, il che si verifica certamente quando la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l’eventuale errore materiale, facilmente riconoscibile, circa gli estremi della sentenza impugnata (Cass. 20.12.2005 n. 28227).
Nella fattispecie concreta, il mandato al difensore risulta proprio apposto a margine del ricorso per cassazione proposto da D.G. S., con conseguente insussistenza del vizio lamentato.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione del combinato disposto degli artt. 343 e 331 c.p.c. – giudicato sostanziale – Nullità assoluta”.
Rileva che il D.G. ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, con atto di citazione notificato al solo Z..
Lo Z. non ai è costituito in questo giudizio, proponendo appello incidentale e chiedendo l’autorizzazione alla chiamata del terzo P., – ciò che secondo il ricorrente avrebbe dovuto fare ai sensi degli artt. 331 e 343 c.p.c.- ma, con atto di citazione notificato in data 18.2.2000, ha dichiarato di volere appellare la sentenza del tribunale di Roma e, nel contempo, ha citato il P..
La Corte di merito, “ignorando l’eccezione ritualmente proposta dal P., ha pronunciato esclusivamente sull’appello (principale) proposto dallo Z. nei confronti del P. ma poi ha rigettato la domanda proposta dal D.G. nei confronti di esso Z. senza esaminare e decidere l’appello promosso dal primo”.
L’omessa costituzione nel giudizio di appello proposto dal D. G., con la contestuale formulazione dell’appello incidentale ed istanza di chiamata del terzo, costituisce nullità assoluta ed insanabile dell’appello proposto dallo Z., con conseguente formazione del giudicato in punto di responsabilità dello stesso Z..
Il motivo è infondato.
In primo luogo va rilevato che, qualora in sede di legittimità si assuma l’esistenza di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, mentre in sostanza venga lamentata l’omessa rilevazione di un giudicato interno e quindi la sussistenza di un error in procedendo, la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto ed ha, quindi, il potere – dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. 27.1.2005 n. 1655) Ora, nel caso di specie, dall’esame degli atti, risulta che lo Z. si è costituito nel giudizio di appello proposto dal D. G. con atto completo di mandato; ed in quel processo è stato proposto l’appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, nella parte in cui lo Z. è risultato soccombente nei confronti del D.G., con la richiesta di accoglimento dell’appello incidentale, “dichiarando estraneo alla vicenda lo Z., ed infondata in fatto ed in diritto la domanda del D. G., di cui alla sentenza impugnata”.
Correttamente quindi il giudice di appello si è pronunciato sulle censure proposte.
Con il secondo motivo denuncia la “Violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 2051 c.c. – Erronea ed insufficiente motivazione – Ingiustizia manifesta e grave”.
Rileva a tal fine che erroneamente il giudice del merito ha “apoditticamente affermato che la custodia dell’appartamento di proprietà dello Z. è tout court passata al P. perchè: a) dal 1991 al 1993 lo Z. non ha abitato l’appartamento; b) perchè P.M. assunse la qualifica di “assuntore” dei lavori e ne percepì il corrispettivo”.
L’obbligo di custodia in capo al terzo – invece – nasce esclusivamente nel caso di totale trasferimento del potere di fatto;
viceversa, per il detentore che continua ad esercitare siffatto potere, non viene meno il dovere di custodia e, quindi, la correlativa responsabilità.
Nel caso di specie, da una parte l’assenza e/o la non permanenza nell’immobile non importa la perdita della custodia, dall’altra il conferimento di appalto per l’esecuzione dei lavori non comporta automaticamente il trasferimento della custodia.
Il motivo è infondato.
I giudici del merito non hanno violato il disposto dell’art. 2051 c.c., ritenendo la responsabilità dell’appaltatore dei lavori in quanto allo stesso era stata trasferita la custodia dell’appartamento, e hanno dato, della loro valutazione, congrua ed adeguata motivazione, incensurabile in questa sede.
Hanno, infatti, rilevato che “Dalla compiuta istruttoria orale e documentale emergono, con assoluta certezza, le seguenti circostanze di fatto: Z.L., ancorchè proprietario dell’appartamento in questione, non lo ha abitato dal 1991 al 1993.
Nell’ordine del giorno dell’assemblea condominiale del 26.2.93 si da atto che la proprietà Z. non era ancora abitata, come non lo era nella precedente stagione 1991-92. Il che peraltro è stato spiegato, non solo con la necessità di dar corso gli imponenti lavori di ristrutturazione – protrattisi dal giugno 1991 al gennaio 1993 – ma perchè lo Z. era frequentemente impegnato all’estero.
E’ altresì certo ed incontrovertibile che P.M. assunse la qualifica di “assuntore” dei lavori, dichiarò la sua qualifica professionale, predispose il computo metrico dei lavori, ne precisò la durata, la consegna del cantiere e ne percepì il corrispettivo rilasciando le relative ricevute al committente Z.”.
Ed i giudici di merito hanno concluso che “In questa situazione oggettiva e probatoria, considerata altresì la natura ed entità dei lavori appaltati, è indiscutibile che la custodia del bene fu trasferita dal committente all’appaltatore dei lavori che, conseguentemente, quale soggetto titolare dell’effettivo potere di signoria e di ingerenza sulla res, era obbligato – secondo la chiara dizione dell’art. 2051 c.c. – ad impedire che il bene stesso, per effetto di intrinseco dinamismo proprio ovvero per la insorgenza di prevedibili agenti causali esterni, potesse arrecare danno a terzi”.
E sul punto è principio consolidato che l’autonomia dell’appaltatore il quale esplica la sua attività nell’esecuzione dell’opera assunta con propria organizzazione apprestandone i mezzi, nonchè curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, l’appaltatore deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall’esecuzione dell’opera (Cass. 21.6.2004 n. 11478).
Con il terzo motivo denuncia la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – Omessa motivazione su un punto essenziale della controversia – Ingiustizia grave”.
Rileva che erroneamente la Corte di merito ha dichiarato assorbito l’esame dell’appello proposto dal D.G..
La domanda proposta dall’attore D.G., infatti, – secondo la tesi del ricorrente – deve ritenersi implicitamente estesa al terzo dichiarato effettivo responsabile, non sussistendo la manifestazione di una diversa volontà da parte dello stesso D.G.. Nè a ciò può derogare il fatto che l’attore nel giudizio di merito abbia precisato le conclusioni esclusivamente nei confronti del proprietario dell’appartamento che ha provocato il danno.
Il motivo è infondato.
Correttamente la Corte di merito ha ritenuto assorbite le doglianze proposte dal D.G., una volta respinta la domanda proposta nei confronti dello Z..
L’attore D.G., infatti, ha proposto la sua domanda esclusivamente nei confronti dello Z., e – come correttamente rileva il giudice di merito – non ha proposto la relativa domanda nei confronti dell’appaltatore P., nè in via diretta, nè estendendo la domanda principale proposta nei confronti dello Z., anche nei confronti del P. dopo la sua chiamata in causa da parte dello Z.; anzi, anche nel giudizio di appello ha concluso nei soli confronti dello Z..
Nè può ritenersi una supposta diversa manifestazione di volontà del D.G., che non è supportata da alcun elemento in tal senso, ma, viceversa, esclusa proprio dalla sua condotta processuale.
Con il quarto motivo denuncia la “Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697 c.c. – Omessa ed erronea motivazione”.
Rileva a tal fine che la prova dell’entità del danno subito è stata fornita nel giudizio di primo grado e che erroneamente il primo giudice dopo avere assunto che “la fattura prodotta dal danneggiato dimostra l’esecuzione dei lavori di ripristino di cui al preventivo “ha, poi, concluso che ciò “nulla prova circa l’effettività dell’esborso da parte del D.G. della somma in esso riportata”.
Sul punto,- nonostante la censura del D.G. – il giudice di appello non si è pronunciato, “sull’erronea dichiarazione dell’assorbimento operato dal rigetto della domanda nei confronti dello Z.”.
Anche in questo caso il motivo è infondato.
Infatti, una volta esclusa la responsabilità dello Z., solo nei confronti del quale era stata proposta la domanda , nessun onere incombeva al giudice di appello di esaminare tale motivo, correttamente ritenuto superfluo ed assorbito dalle conclusioni adottate in ordine alla domanda principale.
Con il quinto motivo denuncia la “Violazione ed erronea applicazione dell’art. 1226 c.c. – Difetto di motivazione”.
Rileva che la Corte di merito ha omesso di valutare la censura proposta con l’appello relativa alla quantificazione del danno come operata dal primo giudice, il quale ha ritenuto di procedere alla liquidazione equitativa – pur in presenza di una puntuale prova in ordine all’ammontare del danno.
La censura è inammissibile.
L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 – come nel caso di specie – o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass. 13.12.2005 n. 27387).
Ciò che, nel caso di specie, non è avvenuto.
Conclusivamente il ricorso principale va rigettato.
Ricorsi incidentali.
Entrambi vanno dichiarati inammissibili.
Il ricorso proposto da Z.L. è inammissibile perchè tardivo.
Infatti, il ricorso principale risulta notificato allo Z. in data 22.11.2002, mentre il controricorso con il ricorso incidentale proposto dallo Z. è stato notificato al D.G. in data 20.1.2003, quindi oltre i quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale, termine che scadeva il 2.1.2003.
Sul punto lo stesso Z. riconosce la tardività della sua notificazione, ma adduce, a sua giustificazione, il fatto che il suo difensore nei gradi di merito, nel 2003 aveva trasferito il proprio studio da via (OMISSIS).
Il rilievo non è conferente.
Infatti, deve sottolinearsi che – come risulta dagli atti – l’ufficiale giudiziario ha effettuato regolarmente la notifica del ricorso principale allo Z. nel domicilio eletto, consegnandone copia al portiere dello stabile di via (OMISSIS), che si è incaricato di curarne la consegna al domiciliatario.
Ora, vero è che la notificazione presso il domicilio dichiarato nel giudizio “a quo” della sentenza di primo grado ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione – che abbia avuto esito negativo perchè il procuratore si sia successivamente trasferito altrove – non ha alcun effetto giuridico, dovendo essere effettuata al domicilio reale del procuratore (quale risulta dall’albo, ovvero dagli atti processuali, come nel caso di timbro apposto su comparsa conclusionale di primo grado) anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte (Cass. 1.7.2005 n. 14033).
Nel caso di specie, però, la notificazione risulta effettuata proprio nel domicilio reale del procuratore – quale risultava dagli atti di causa – mediante consegna al portiere dello stabile.
In caso di notificazione ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 3, la qualità di portiere di chi ha ricevuto l’atto si presume “iuris tantum” dalle dichiarazioni recepite dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica, incombendo sul destinatario dell’atto, che contesti la validità della notificazione, l’onere di fornire la prova contraria ed, in particolare, di allegare e provare l’inesistenza della succitata qualità (Cass. 15.4.2005 n. 7827).
Nel caso di specie la notificazione è avvenuta correttamente a mani del portiere che ne ha curato la consegna “in sua precaria assenza”, cioè del destinatario.
Ciò dimostra che il portiere dello stabile, non solo ha ricevuto la notifica, ma si è sostanzialmente dichiarato addetto alla ricezione, con la conseguenza che per l’eventuale, mancata consegna nessuna responsabilità può essere imputata al notificante.
Il ricorso incidentale proposto da P.M. è inammissibile per difetto di interesse.
Infatti, è inammissibile per difetto di interesse.
Il ricorso con il quale si denunci l’omesso esame di questione che il giudice di merito non ha esaminato perchè assorbita.
In tal caso, in merito a detta questione, manca la soccombenza, che costituisce il presupposto dell’impugnazione (Cass. 27.3.2001 n. 4424).
Nel caso di specie la domanda risarcitoria è stata proposta dall’odierno ricorrente nei confronti del solo convenuto Z. che, a sua volta, aveva chiamato in causa il P..
Tale domanda non è stata proposta dall’attore nei confronti dell’appaltatore P., nè in via diretta, nè estendendo la domanda principale contro lo stesso, dopo la chiamata in causa da parte dello Z..
Anche in appello il D.G. ha concluso nei confronti del solo Z., ritenuto dal giudice di merito “del tutto estraneo all’evento di danno, a lui in nessun modo imputabile”.
Conseguentemente il giudice di merito ha rilevato che “La reiezione della domanda principale rende superfluo (ed assorbe) l’esame di tutte le altre argomentazioni e doglianze”.
In questo caso, quindi, il P. non aveva alcun interesse all’impugnazione, perchè difettava la soccombenza, non essendo stata la domanda principale estesa nei suoi confronti.
La soccombenza reciproca, poi, giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione fra tutte le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Dichiara inammissibili i ricorsi incidentali. Compensa fra tutte le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 4 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2006.