Sentenza 12715 del 2019
Il creditore di un condominio può proporre esecuzione forzata presso terzi anche nei confronti dei condomini non morosi oltre che verso i beni condominiali?
SENTENZA n.12715 -2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
dott. Franco DE STEFANO Presidente
dott. Lina RUBINO Consigliere
dott. Marco ROSSETTI Consigliere
dott. Augusto TATANGELO Consigliere relatore
dott. Cosimo D’ARRIGO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 11725 dell’anno 2017, proposto
Oggetto: OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE (ART. 615 C.P.C.) da AMMINISTRATORE DEL CONDOMINIO “A” e B
-ricorrenti
nei confronti di
C
-controricorrente
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Catania n. 234/2017, pubblicata in data 8 febbraio 2017; udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 5 marzo 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo; uditi il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Anna Maria Soldi, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso del condominio ed il rigetto del ricorso del B; l’avvocato [...], per la controricorrente.
Fatti di causa
C ha agito in via esecutiva nei confronti del Condominio A, procedendo al pignoramento dei crediti da quest’ultimo vantati nei confronti di alcuni condòmini per contributi, in base a una sentenza di condanna al pagamento delle spese processuali relative ad un giudizio di cognizione. Hanno proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., il condominio debitore nonché uno dei condòmini terzi pignorati, Antonio B. Il Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Acireale ha rigettato l’opposizione del condominio e ha dichiarato inammissibile quella del B. La Corte di Appello di Catania ha confermato la decisione di primo grado. Ricorrono il condominio A ed il B, sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la C. La controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. La controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso dell’amministratore del condominio A, per difetto della relativa autorizzazione dell’assemblea dei condòmini. L’eccezione è fondata. In base alla giurisprudenza di questa Corte, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’amministratore del condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine a controversie che non rientrano tra quelle per le quali è autonomamente legittimato ad agire ai sensi degli artt. 1130 e 1131, comma 1, c.c., né può essere concesso un termine per la regolarizzazione, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., allorché il rilievo del vizio, in sede di legittimità, sia stato sollevato non d’ufficio, ma dalla controparte nel suo controricorso (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 12525 del 21/05/2018, Rv. 651377 – 02, che richiama i principi affermati da Cass., Sez. U, Sentenza n. 4248 del 04/03/2016, Rv. 638746 – 01; in precedenza, sulla necessità di autorizzazione dell’assemblea, cfr. anche: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2179 del 31/01/2011, Rv. 616487 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 12972 del 24/05/2013, Rv. 626693 – 01 ; Sez. U, Sentenza n. 18331 del 06/08/2010, Rv. 614419 – 01). La presente controversia ha ad oggetto la contestazione del diritto di un creditore del condominio di procedere, in base ad un titolo giudiziale, ad esecuzione forzata nei confronti dello stesso condominio, mediante pignoramento dei suoi crediti verso i condòmini per contributi. Non si tratta di una controversia avente ad oggetto direttamente la riscossione dei contributi, l’erogazione delle spese di manutenzione o la gestione di una o più cose comuni, né viene dedotta l’estinzione (successiva alla formazione del titolo) del credito fatto valere contro il condominio, ma solo una pretesa inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, secondo le modalità concretamente adottate dal creditore, onde la proposizione dell’opposizione non può ritenersi rientrare tra le ordinarie attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c..
Di conseguenza, deve negarsi la autonoma legittimazione dell’amministratore a proporla senza autorizzazione (anche eventualmente in ratifica) dell’assemblea. La suddetta autorizzazione non risulta prodotta. Inoltre, nell’epigrafe del ricorso non si fa alcun riferimento a tale autorizzazione, né il documento risulta nell’indice di quelli allegati al ricorso stesso; non risulta in atti alcuna autorizzazione neanche in relazione ai gradi di merito dell’opposizione, né l’amministratore del condominio ha in qualche modo replicato all’eccezione di insussistenza dell’autorizzazione assembleare, avanzata già nel controricorso. Il ricorso dell’amministratore del condominio è dunque inammissibile. 2. L’opposizione dell’altro ricorrente B, condòmino terzo pignorato, è stata dichiarata inammissibile dai giudici di merito, per difetto di interesse ad agire. In secondo grado il B aveva espressamente posto, tra i motivi di gravame, la questione della sua legittimazione attiva, negata dal Tribunale, ma tale motivo di gravame è stato rigettato dalla corte di appello. Nel ricorso non vi è una specifica censura del B in merito alla dichiarazione di inammissibilità della sua opposizione; quanto meno, la ratio decidendi alla base della relativa statuizione della Corte di appello non risulta adeguatamente colta, essendosi limitati i ricorrenti a sostenere – con riguardo ai profili attinenti la soggettività e la legittimazione delle parti – che non vi sarebbe alterità soggettiva tra condominio e condòmini. Anche il ricorso del B è pertanto inammissibile. Esso non potrebbe, in ogni caso, ritenersi fondato. Come correttamente affermato dalla corte di appello, il terzo pignorato, nell’espropriazione di crediti, non ha infatti interesse e quindi non è legittimato a sollevare questioni che riguardano esclusivamente i rapporti tra creditore esecutante e debitore esecutato e, in particolare, il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore, il quale ultimo soltanto si può avvalere dell’apposito rimedio oppositivo di cui all’art. 615 c.p.c. (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003, Rv. 562536 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 387 del 11/01/2007, Rv. 595611; Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 23/02/2007, Rv. 595615 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3790 del 18/02/2014, Rv. 630151 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01). Inoltre, dalla stessa esposizione del fatto contenuta nel ricorso (cfr. pag. 3, righi 9-11) emerge che la creditrice C, nel corso della procedura esecutiva, aveva rinunciato al pignoramento del credito vantato dal condominio nei confronti del B; quindi in realtà quest’ultimo non poteva neanche più ritenersi rivestire in concreto la posizione di terzo pignorato e, di conseguenza, non avrebbe avuto legittimazione neanche a proporre eventuali questioni attinenti alla regolarità della procedura esecutiva nei suoi confronti, quale terzo pignorato (questioni che avrebbero comunque dovuto essere fatte valere ai sensi dell’art. 617 c.p.c. ovvero nell’ambito dell’eventuale giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in quanto non configurabili in termini di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.). L’infondatezza nel merito degli argomenti in diritto posti a base del ricorso (anche da parte del B) emerge d’altra parte da quanto sarà illustrato in prosieguo, ai sensi dell’art. 363 c.p.c.. 3. Le considerazioni sin qui svolte impongono la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. La Corte ritiene peraltro di esaminare comunque il merito dello stesso, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., in considerazione della particolare importanza della questione di diritto che con esso è posta (in particolare con il primo motivo). Con il primo motivo del ricorso si denunzia «Erronea configurazione del condominio quale soggetto dotato di personalità giuridica, sia pure attenuata, ovvero di autonoma propria soggettività giuridica. Violazione e/o falsa applicazione dei principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1119, 1123, 1130 e 1131 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, primo comma n. 3, Con il secondo motivo si denunzia «Violazione e/o falsa applicazione del principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali e del principio di indisponibilità delle somme dovute per quote, quali principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1118, 1119 e 1123 c. c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, primo comma n. 3, Con il terzo motivo si denunzia «Violazione e/o falsa applicazione del regolamento delle spese di lite, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. Erronea implicita applicazione dell’art. 2055 c. c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c.)». La questione di diritto che viene posta con il ricorso (in particolare con il primo motivo) riguarda la possibilità, per il creditore del condominio che abbia conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso, di procedere all’espropriazione dei crediti del condominio nei confronti dei singoli condòmini per i contributi dagli stessi dovuti. Tale questione va risolta in senso affermativo. Secondo i principi generali (artt. 2740 e 2910 c.c.), mediante l’espropriazione forzata è possibile espropriare al debitore tutti i suoi beni, inclusi i crediti.
Affinché l’espropriazione dei crediti vantati dal condominio verso i singoli condòmini per contributi sia legittima, è quindi sufficiente che sia configurabile, sul piano sostanziale, un effettivo rapporto obbligatorio tra condominio e singolo condòmino avente ad oggetto il pagamento dei contributi condominiali (oltre che, ovviamente, un rapporto obbligatorio tra creditore e condominio, il che però è nella specie questione ormai risolta in sede di cognizione – avendo il creditore conseguito il titolo esecutivo direttamente nei confronti del condominio – e come tale non più oggetto di possibile discussione in sede esecutiva). Orbene, è innegabile che sia configurabile sul piano sostanziale un rapporto obbligatorio tra condominio e singolo condòmino, con riguardo al pagamento dei contributi condominiali: una espressa disposizione normativa, l’art. 63 disp. att. c.c. (sia nella precedente che nella attuale formulazione), prevede infatti che l’amministratore possa addirittura ottenere un decreto ingiuntivo (immediatamente esecutivo), in favore del condominio e contro il singolo condòmino per il pagamento dei suddetti contributi (in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea). Tale disposizione normativa conferma espressamente, e/o quanto meno presuppone, l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra condominio e singoli condòmini avente ad oggetto i contributi dovuti in base agli stati di ripartizione approvati dall’assemblea condominiale, consentendo al condominio, rappresentato dall’amministratore, di agire in giudizio contro il condòmino per il pagamento delle quote condominiali. Essendo configurabile sul piano sostanziale un credito del condominio (rappresentato dal suo amministratore) nei confronti dei singoli condòmini, laddove esista altresì un titolo esecutivo in favore di un terzo e contro lo stesso condominio (sempre rappresentato dall’amministratore), in mancanza di una norma che lo vieti espressamente, tale credito può certamente essere espropriato dal creditore del condominio, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., e la relativa esecuzione orzata non può che svolgersi nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss.. Né può ritenersi che tale conclusione violi il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali (come sembra adombrato nel secondo e terzo motivo del ricorso). Il suddetto principio implica che l’esecuzione contro il singolo condòmino non possa avere luogo per l’intero debito del condominio, ma solo nei limiti della sua quota di partecipazione al condominio stesso. Laddove l’esecuzione avvenga direttamente contro il condominio, e non contro il singolo condòmino, non solo l’esecutato è il condominio, debitore per l’intero (onde non entra in realtà in gioco in nessun modo il principio di parziarietà), ma l’espropriazione dei beni e diritti del condominio, cioè di beni che, proprio in quanto condominiali, appartengono pro quota a tutti i condòmini, finisce addirittura per attuare, in linea di principio ed in concreto, il richiamato principio di parziarietà (almeno fino a specifica prova contraria), senza affatto violarlo. Solo a fini di completezza espositiva è, infine, opportuno far presente (con riguardo alle questioni relative alle spese processuali): a) che l’obbligazione relativa alle spese processuali liquidate in un provvedimento giudiziario non è di fonte contrattuale e quindi per essa neanche potrebbe valere l’invocato principio di parziarietà; b) che i giudici di merito, rigettate le opposizioni, hanno correttamente applicato il principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., ed ogni contestazione in proposito è inammissibile, in quanto la facoltà di disporre la compensazione delle spese in caso di soccombenza integrale, per eccezionali motivi, costituisce un potere discrezionale del giudice di merito il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità. 4. Il ricorso è dichiarato inammissibile. La Corte, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., enuncia il seguente principio di diritto: «il creditore del condominio che disponga di un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso, ha facoltà di procedere all’espropriazione di tutti i beni condominiali, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., ivi inclusi i crediti vantati dal condominio nei confronti dei singoli condòmini per i contributi dagli stessi dovuti in base a stati di ripartizione approvati dall’assemblea, in tal caso nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss.». Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228.
per questi motivi
La Corte:
- dichiara inammissibile il ricorso, enunciando il principio di diritto di cui in motivazione, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.; – condanna i ricorrenti, in solido, a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi C 3.000,00, oltre C 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012 n. 228, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 5 marzo 2019.
L’estensore Augusto TATANGELO
Il presidente Franco DE STEFANO