Corte di Cassazione, Sezione 1 Penale, Sentenza 30 gennaio 2013, n. 4691
Quali conseguenze può recare una macchina parcheggiata in malo modo?
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto – Presidente
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere
Dott. ROMBOLA’ Marcello – rel. Consigliere
Dott. BONITO Francesco M. S. – Consigliere
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
2) (OMISSIS) N. IL (OMISSIS) C/;
avverso la sentenza n. 5144/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del 14/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCELLO ROMBOLA’;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mazzotta Gabriele che ha concluso per l’annullamento della sentenza con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Roma.
Udito per la parte civile l’avv.to (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
Udito il difensore avv.to (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 14/10/11, pronunciata su rinvio della Corte di Cassazione (che il 4/3/11 aveva annullato precedente sentenza di assoluzione in appello del 25/1/10 dopo una pronuncia di condanna in primo grado del Tribunale di Roma del 17/5/06) la Corte di Appello di Roma assolveva (OMISSIS) dal reato di minaccia aggravata in danno di (OMISSIS) perche’ il fatto non sussiste e da quello di ingiuria nei confronti della stessa (OMISSIS) per reciprocita’ (fatti avvenuti a (OMISSIS)).
La vicenda trovava origine in un diverbio inizialmente insorto tra l’ (OMISSIS), vicino di casa della (OMISSIS) che aveva suonato alla porta del suo alloggio per chiedere di spostare un’autovettura mal parcheggiata che impediva il transito in prossimita’ del garage, e il compagno della donna, (OMISSIS). Il diverbio era proseguito con la stessa (OMISSIS), cui l’ (OMISSIS) secondo l’accusa rivolgeva minacce gravi (“ti sparo”) e ingiurie non giustificate (“sei una stronza”). Seguiva una colluttazione tra il (OMISSIS) e l’ (OMISSIS), che finiva per cadere dalle scale riportando lesioni. Per questa parte pendeva altro procedimento a carico del (OMISSIS), mentre l’ (OMISSIS) era gia’ stato assolto, per insussistenza del fatto, dall’ulteriore reato ascrittogli di violazione di domicilio.
Avverso la rinnovata assoluzione (da minacce e ingiurie) ricorreva per cassazione a mezzo del suo difensore (ai soli effetti civili) la parte civile (OMISSIS). Premesso il proprio interesse ad impugnare nonostante l’intervenuta prescrizione dei reati e riepilogato lo sviluppo della vicenda processuale, deduceva: 1) vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento in capo all’imputato della responsabilita’ dei reati contestati di minaccia grave e di ingiuria (quanto al primo reato era stata ritenuta decisiva la teste (OMISSIS), domestica della (OMISSIS) che non aveva udito minacce, a preferenza delle concordi testimonianze in senso opposto della (OMISSIS) stessa e del (OMISSIS); quanto al secondo reato la Corte di Appello, affermando che l’ (OMISSIS) si era visto prima chiudere la porta in faccia dal (OMISSIS) ed era stato poi offeso dalla (OMISSIS), aveva letteralmente “inventato” un comportamento offensivo mai posto in essere dalla detta (OMISSIS); sotto altro profilo lamentava che il giudice del rinvio avesse esorbitato dall’effetto devolutivo dell’appello dopo l’annullamento della cassazione, per il quale avrebbe dovuto limitarsi alla verifica dell’attendibilita’ della parte lesa e dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS); in ogni caso, in assenza di evidenze favorevoli all’imputato, il giudice avrebbe dovuto pronunciare la prescrizione dei reati contestati; 2) violazione di legge in ordine alla ritenuta causa di non punibilita’ derivante dalla presunta reciprocita’ delle offese. Chiedeva l’annullamento della sentenza (assolutoria) impugnata.
Con missiva 26/11/12 l’ (OMISSIS) negava di avere mai offeso, ingiuriato e minacciato la (OMISSIS) (che in altro procedimento era stata condannata insieme col (OMISSIS) con sentenza 8/7/10 del Tribunale di Roma per violenza privata e lesioni volontarie in suo danno) e allegava la lettera di scuse inviatagli il 19/11/12 dalla stessa (OMISSIS) dopo la ritirata denuncia per un fatto analogo.
Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Roma; la difesa della ricorrente parte civile chiedeva l’accoglimento del ricorso (depositava conclusioni scritte e nota spese); la difesa dell’imputato chiedeva il rigetto del ricorso con la conferma dell’impugnata sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, manifestamente infondato, e’ inammissibile (articolo 606 c.p.p., comma 3).
Esso non individua errori di diritto, ma, con rilievi sostanzialmente di fatto (come tali estranei al giudizio in sede di legittimita’), tende a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle espresse, con congrua e corretta motivazione, dal giudice di merito.
La posizione in tema della giurisprudenza di legittimita’ e’ tradizionale e consolidata: “Alla luce della nuova formulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dettata dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, il sindacato del giudice di legittimita’ sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita’ logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilita’, cosi’ da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione” (cosi’ Cass., sez. 6, sent. n. 10951 del 15/3/06, rv. 233708, imp. Casula).
Il giudice di appello che in sede di rinvio ha motivato l’assoluzione non e’ incorso in alcuno dei suddetti vizi. La sua motivazione e’ stata effettiva, logica, non internamente ne’ esternamente contraddittoria: precise e convincenti le dichiarazioni della teste (disinteressata) (OMISSIS), che in dibattimento ha escluso di aver sentito l’imputato proferire minacce; confermate invece le ingiurie alla (OMISSIS) (“brutta stronza vaffanculo”), ma proferite da soggetto, portatore di una giusta richiesta (di spostare l’auto che gli impediva l’accesso al garage), cui due volte era stata chiusa la porta in faccia (la prima dal (OMISSIS), la seconda dalla donna che, dopo aver riaperto, aveva cercato ancora di richiudere; poi il definitivo intervento del (OMISSIS) e la colluttazione tra i due uomini). L’offesa (non verbale) della (OMISSIS) si esprime nel suo atteggiamento offensivo. Le censure della ricorrente sono dunque di fatto, tendendo a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle debitamente espresse dal giudice del rinvio, che, posto dopo l’annullamento della S.C. negli stessi poteri del giudice della sentenza annullata, ha compiutamente esaminato (sia pur sinteticamente) la fattispecie, valutando in particolare gli apporti testimoniali (tanto e’ vero che sulla base delle dichiarazioni della medesima teste (OMISSIS) ha ritenuto sussistenti, anche se non punibili, le ingiurie addebitate all’ (OMISSIS)). Sono proprio le evidenze come sopra ritenute dal giudice che hanno escluso ai sensi dell’articolo 129 c.p.p. una declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione (diversamente maturata il 13/3/11). Le considerazioni che precedono esauriscono entrambi i motivi di ricorso.
Alla dichiarazione di inammissibilita’ segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di un’adeguata sanzione pecuniaria (articolo 616 c.p.p.).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del processo e della somma di euro 1.000 alla cassa delle ammende.