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Federproprietà AbruzzoDecoro ArchitettonicoCassazione Civile, Sezione II, Sentenza 23 maggio 2012 n. 8174

Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza 23 maggio 2012 n. 8174

Il regolamento di condominio può contenere una tutela del decoro architettonico più stringente di quella prevista dal codice civile?

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere -
Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere -
Dott. MANNA Felice – Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25827/2010 proposto da:

P.M.(OMISSIS), pa.ma.(OMISSIS), PA.MA. (OMISSIS),p.m. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TEVERE 46, presso lo studio dell’avvocato BIANCA FEDERICO, rappresentati e difesi dall’avvocato SANZIN SAMO;

- ricorrenti -

contro

C.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VEROLI MANLIO 2-4, presso lo studio dell’avvocato GENTILE RUGGERO MARIA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MUSCOLO GIUSEPPE, TERRANO BIAGIO;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 279/2010 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 03/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/04/2012 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;
udito l’Avvocato BIANCA Federico, con delega depositata in udienza dell’Avvocato SANZIN Samo difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

C.B. conveniva dinanzi al Tribunale di Gorizia Ne. Ar. per sentirla condannare alla rimozione della veranda realizzata sul terrazzo posto sulla facciata anteriore della (OMISSIS), ed al ripristino dello stato dei luoghi.

A sostegno della domanda, l’attrice deduceva che tale veranda era stata realizzata nonostante la mancata autorizzazione dell’assemblea condominiale e l’espresso divieto contenuto nel regolamento di condominio; aggiungeva che l’opera si poneva in contrasto con gli artt. 1120 e 1122 c.c., perchè aveva recato danni alle parti comuni ed alterato il decoro architettonico dell’edificio.

Con sentenza del 10-10-2005 il Tribunale adito rigettava la domanda.

Avverso la predetta decisione proponeva appello l’attrice.

Con sentenza depositata il 3-7-2010 la Corte di Appello di Trieste accoglieva il gravame, condannando la convenuta a rimuovere le opere realizzate ed a ripristinare l’originario stato dei luoghi. In motivazione la Corte territoriale rilevava, in particolare, che sulla facciata anteriore dell’edificio doveva ritenersi vietata la realizzazione di verande, in quanto l’art. 6 del Regolamento condominiale approvato il 4-7-1997 consentiva l’apposizione di tali opere solo sul prospetto retrostante, con l’approvazione dell’assemblea e previa autorizzazione degli organi comunali, con ciò intendendo chiaramente impedire la modifica del prospetto anteriore; che la lesione del decorso architettonico era stata apprezzata preventivamente dall’assemblea con la previsione del divieto di apposizione di verande sulla facciata anteriore, e che il danno era in re ipsa, essendo il decoro architettonico un bene comune.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono p.m., Ma., M. e M.T., quali eredi di N. A., deceduta il (OMISSIS), sulla base di sette motivi.

C.B. resiste con controricorso.

Diritto

1) Con il primo motivo i ricorrenti, pur denunciando formalmente la violazione dell’art. 6 del regolamento condominiale, si dolgono, nella sostanza, dell’interpretazione data dalla Corte di Appello a tale norma regolamentare, sotto il profilo della violazione dei canoni esegetici dettati dall’art. 1362 c.c., e segg.. Sostengono che il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto implicito nella formulazione della citata norma regolamentare il divieto di ogni intervento sulla facciata anteriore dell’edificio, in quanto, al contrario, non contenendo tale disposizione alcun riferimento alla facciata anteriore, quest’ultima deve ritenersi affrancata da qualsiasi vincolo e regolamentazione.

Il motivo è infondato.

E’ noto che l’interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica, oppure vizi logici (tra le tante v. Cass. 31-7-2009 n. 17893; Cass. 23-1-2007 n. 1406).

Nella specie, l’art. 6 del regolamento condominiale in esame dispone che “l’apposizione di tende esterne, sia in tela che del tipo veneziana e l’applicazione di veranda sul retro prospetto dovrà essere fatta in un unico colore e tipo di telaio, previa approvazione dell’assemblea condominiale e previa autorizzazione degli organi comunali”.

La Corte di merito, attenendosi correttamente alla ratio di tale disposizione, ha ritenuto, con argomentazioni logiche ed aderenti all’inequivoca, sia pure implicita, intenzione delle parti, che l’apposizione di verande è consentita solo sul prospetto retrostante del fabbricato, e non anche su quello anteriore. Essa ha evidenziato, infatti, che il fatto che la realizzazione di verande sul prospetto retrostante sia regolamentata in modo così rigoroso da richiedere l’approvazione dell’assemblea condominiale e la previa autorizzazione degli organi comunali, porta a ritenere che la mancanza di un’espressa regolamentazione dell’apposizione di verande sul prospetto anteriore non sia attribuibile ad una mera dimenticanza, bensì alla volontà di vietare ogni modifica su tale prospetto. A riprova della fondatezza del proprio convincimento, il giudice del gravame ha evidenziato che il divieto di modifiche del prospetto anteriore risponde all’esigenza di difendere, anche attraverso l’estetica, la vocazione turistica della città di Grado; ed ha ulteriormente rilevato che per ben due volte l’assemblea condominiale ha negato alla N. di realizzare una veranda sul prospetto anteriore, così confermando che quella sopra indicata è l’unica interpretazione corretta.

La valutazione espressa al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo sorretta da argomentazioni plausibili e non irragionevoli ed avendo fatto corretta applicazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, che impongono all’interprete di ricercare, al di là del senso letterale delle espressioni usate, la comune intenzione delle parti.

2) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la falsa applicazione dell’art. 6 del regolamento condominiale. Deducono che il regolamento condominiale non potrebbe di per sè essere ostativo alla realizzazione della veranda, trattandosi di opera realizzata nella proprietà esclusiva (balcone), che non richiede nemmeno il preventivo consenso degli altri condomini nè l’autorizzazione del Comune.

Il motivo è inammissibile, in quanto l’asserita violazione del regolamento di condominio non può essere denunziata come violazione di legge, potendo l’interpretazione e l’applicazione al caso concreto delle clausole di un regolamento di condominio da parte del giudice dei merito essere sindacate in sede di legittimità solo sotto il profilo della violazione dei canoni di ermeneutica o di vizi della motivazione (Cass. 23-1-2007 n. 1406).

Ulteriore profilo di inammissibilità del motivo in esame è dato dal fatto che con esso viene propettata una questione nuova, che non risulta trattata nella sentenza di appello e la cui tempestiva proposizione nel giudizio di merito non è stata dedotta dai ricorrenti.

3) Con il terzo motivo viene denunciata la mancanza, insufficienza o mera apparenza della motivazione in ordine all’effettiva lesione del decoro architettonico, avendo la Corte di Appello omesso qualsiasi valutazione al riguardo.

Con il quarto motivo viene dedotta la mancanza e insufficienza della motivazione in ordine alla sussistenza di un effettivo pregiudizio arrecato dall’opera allo stabile condominiale.

I due motivi, che in quanto tra loro strettamente connessi possono essere trattati congiuntamente, sono infondati, avendo la Corte di Appello dato atto, con motivazione immune da vizi logici e come tale non censurabile in questa sede, che la lesione del decoro architettonico è stata apprezzata a priori dall’assemblea condominiale attraverso la previsione della norma regolamentare che vieta la realizzazione di verande sul prospetto anteriore del fabbricato, e che, poichè il decoro architettonico è un bene comune, il danno è in re ipsa.

Così statuendo, i giudici del merito si sono attenuti all’orientamento di questa Corte, secondo la quale un regolamento di condominio contrattuale (quale è stato implicitamente considerato dalla Corte territoriale quello in esame), ove abbia ad oggetto la conservazione dell’originaria facies architettonica dell’edificio, comprimendo il diritto di proprietà dei condomini mediante il divieto di qualsiasi opera modificativa, persino migliorativa, appresta in tal modo una tutela pattizia ben più intensa e rigorosa di quella apprestata al mero “decoro architettonico” dall’art. 1120 c.c., comma 2, art. 1127 c.c., comma 3 e art. 1138 c.c., comma 1; con la conseguenza che, in presenza di opere esterne, la loro realizzazione integra di per sè una vietata modificazione dell’originario assetto architettonico dell’edificio (Cass. 14-1-1993 n. 395; Cass. 12-12-1986 n. 7398).

Va altresì ribadito il principio affermato dalla giurisprudenza, secondo cui, in tema di condominio negli edifici, il pregiudizio economico è una conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo una qualità del fabbricato, è tutelata – in quanto di per sè meritevole di salvaguardia – dalle norme che ne vietano l’alterazione (Cass. 31-3-2006 n. 7625; Cass. 15- 4-2002 n. 5417).

Nella specie, pertanto, una volta accertata la violazione del divieto previsto dal regolamento condominiale, deve senz’altro ritenersi l’illegittimità dell’apposizione della veranda, rimanendo precluso per il giudice di merito ogni diversa valutazione circa la sussistenza di una concreta menomazione del decoro architettonico e di un effettivo pregiudizio derivato all’edificio condominiale.

5) Con il quinto motivo si deduce la falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., comma 2, in relazione all’erronea qualificazione della veranda quale innovazione invece che come modifica.

Il motivo è inammissibile, in quanto in nessuna parte della motivazione la Corte di Appello ha qualificato la veranda realizzata dalla convenuta come un’innovazione. Non vi è, pertanto, alcuna correlazione tra la doglianza in esame e le argomentazioni poste a base della decisione gravata.

6) Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1102 c.c., che attribuisce ai singoli condomini il diritto ad usare della cosa comune per il migliore godimento della stessa. Evidenziano che nella specie si trattava di una veranda rimovibile, atta a limitare la dispersione energetica lamentata dall’appartamento ed a garantire all’inquilina, invalida al 65%, un isolamento termico, acustico e igronomico consono alle sue precarie condizioni di salute.

Il motivo è inammissibile, involgendo una problematica non dedotta tempestivamente nel giudizio di merito e come tale non affrontata dal giudice del gravame, il quale, a pag. 7 della sentenza impugnata, ha dato atto che le questioni attinenti alla invalidità della N. ed alla necessità di un’abitazione meglio isotata termicamente è stata tardivamente sollevata dell’appellata nella comparsa conclusionale.

7) Con il settimo motivo, infine, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1138 c.c.. Sostengono che l’art. 6 del Regolamento condominiale, essendo stato approvato a maggioranza, non ha natura contrattuale e che, pertanto, attraverso esso non è possibile introdurre disposizioni pregiudizievoli dei diritti personali.

Anche tale motivo è inammissibile, introducendo una questione nuova, che non risulta trattata nella sentenza impugnata e che i ricorrenti non hanno dedotto di aver tempestivamente proposto nel giudizio di merito.

8) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2012.

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