Cassazione Civile, Sezione VI, Ordinanza 30 gennaio 2012 n. 1331
Qual è stata l'evoluzione normativa e giurisprudenziale sui parcheggi condominiali? Di che natura è il vincolo che lega il parcheggio all'appatamento?
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FELICETTI Francesco – Presidente -
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere -
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SI SRL, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati ESTERINI GIOVANNI, SALANITRO NICCOLO giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI SAVORELLI 95, presso lo studio dell’avvocato MENICHELLI MARCO, rappresentata e difesa dall’avvocato PATANE’ ROSARIO giusta procura speciale a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
- ricorrenti incidentali -
avverso la sentenza n. 190/2010 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 26/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;
udito l’Avvocato Politi Giuseppe (delega avvocato Rosario Patanè) difensore della controricorrente e ricorrente incidentale che si riporta agli scritti;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che si riporta alla relazione.
Fatto
La SINA s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 26 febbraio 2010 che nell’ambito del giudizio promosso da C.R. per ottenere la condanna della ricorrente a reperire all’interno del condominio, sito in (OMISSIS) – ove era sito l’appartamento dalla stessa acquistato in data 2.10.1995 dalla costruttrice (odierna ricorrente), area pertinenziale da destinare a parcheggio ovvero, in subordine, il risarcimento dei danni nell’ipotesi in cui non fosse possibile il predetto trasferimento, in riforma della decisione del giudice di prime cure, ritenuta la fondatezza dell’appello, accoglieva la domanda subordinata (per non essere venuto ad esistenza il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale), quantificata in L. 50.000.000 la riduzione del prezzo dell’immobile acquistato.
Il ricorso è affidato ad un unico motivo di impugnazione.
Si è costituita con controricorso la C., la quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un unico motivo.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
La resistente ha presentato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.
Diritto
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta:
“Come osservato con sentenza n. 21003 del 1 agosto 2008 di questa corte, la soluzione delle questioni sollevate con il ricorso principale e con quello incidentale richiede una sia pur sintetica ricostruzione della evoluzione normativa e giurisprudenziale sul tema della disciplina dei parcheggi. La regolamentazione giuridica delle aree destinate a parcheggio trova fondamento nelle esigenze di natura urbanistica determinate dal degrado ambientale prodotto dalla sosta degli autoveicoli nei centri urbani. La L. 6 agosto 1967, n. 765 (c.d. Legge Ponte), all’art. 18, ha introdotto nella Legge Urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, l’art. 41 sexies, prescrivendo che “Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbano essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione” (poi divenuti dieci a norma della L. 24 marzo 1989, n. 122, art. 2). La norma, che fissa per la prima volta degli standards minimi da osservare nella progettazione urbanistica con riguardo agli spazi destinati alla sosta, esigendo che le nuove costruzioni siano dotate di aree di parcheggio, ha – come generalmente affermato dalla dottrina – carattere pubblicistico, essendo, per un verso, diretta a regolare, sotto il profilo urbanistico, l’attività edilizia, ed essendo, per l’altro, rivolta direttamente all’autorità amministrativa, tenuta a subordinare il rilascio della concessione edilizia al rispetto dei predetti standars, da determinare in base al rapporto tra superficie e volumetria.
Nel silenzio della norma in esame sulla natura giuridica del vincolo concernente i parcheggi, la dottrina dominante ha escluso che il richiamato art. 41 sexies assuma, altresì, una valenza nei rapporti tra privati, introducendo nuovi vincoli alla circolazione giuridica delle aree destinate a parcheggio (teoria oggettiva). Una parte minoritaria della dottrina ha, invece, interpretato il richiamato art. 41 sexies come diretto, oltre che a porre un vincolo oggettivo di destinazione, a regolare altresì i rapporti tra privati attraverso la introduzione di un vincolo di destinazione necessario, inderogabile pattiziamente, alla circolazione giuridica delle aree destinate a parcheggio (teoria soggettiva). Secondo tale posizione, gli spazi per parcheggio di cui alla legge ponte dovrebbero essere necessariamente utilizzati dai proprietari e/o utilizzatori delle unità immobiliari di cui fa parte l’edificio cui detti spazi accedono. Il vincolo opererebbe in un duplice senso, anzitutto ponendo una relazione di accessorietà tra la costruzione e gli spazi per parcheggio, rilevante nei rapporti interprivati. Detta relazione potrebbe atteggiarsi in modo diverso. Se lo spazio per parcheggio è interno alla costruzione, il vincolo legale opererebbe nel senso di qualificare detto spazio quale parte comune condominiale destinata a un servizio comune di cui la legge configura l’esigenza e impone l’assolvimento. Se, invece, lo spazio è esterno il vincolo opererebbe nel senso di qualificare detto spazio quale pertinenza del fabbricato: si tratterebbe di una “pertinenza ex lege”, in quanto la qualifica pertinenziale e le conseguenze giuridiche ad essa riconducibili non derivano, come di regola, dalla obiettiva destinazione al servizio della cosa principale, bensì direttamente dalla legge. In entrambi i casi il rapporto di accessorietà esistente tra l’edificio e gli spazi per parcheggio farebbe si che la vendita della singola unità immobiliare, in difetto di contraria disposizione scritta ai sensi dell’art. 1117 c.c., ovvero dell’art. 818 c.c., comma 1, c.c. comporti la vendita anche dello spazio per parcheggio. In secondo luogo, il vincolo di destinazione opererebbe nel senso di impedire che i privati, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, possano derogare al principio della necessaria utilizzazione degli spazi per parcheggio da parte dei proprietari e/o utilizzatori del fabbricato. In altri termini sarebbe consentito con apposita pattuizione scritta derogare al principio accesorium sequitur principale solo quanto alla proprietà dello spazio per parcheggio, ma non quanto all’uso dello stesso. Si parla di un diritto di uso ope legis, con la conseguenza che una contraria pattuizione delle parti sarebbe nulla per contrasto con una norma imperativa ai sensi dell’art. 1418 c.c., e verrebbe sostituita di diritto dalla norma imperativa violata ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 2.
Nella giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale contrasto, che ha determinato l’intervento delle Sezioni Unite (Sez. Un. 17 dicembre 1984, nn. 6600, 6601 e 6602), è stato affermato che l’art. 41 sexies costituisce una disposizione imperativa ed inderogabile in correlazione agli interessi pubblicistici da essa perseguiti e che, in quanto tale, non opera soltanto nel rapporto tra costruttore – proprietario dell’edificio e Pubblica Amministrazione, ma anche nei rapporti privatistici inerenti agli spazi per parcheggio.
Conseguentemente il posto-auto viene considerato parte comune dell’edificio se ricavato all’interno dello stesso e pertinenza, legata da un vincolo di destinazione funzionale, se posto all’esterno; ciò in mancanza di un titolo attributivo della proprietà esclusiva ai singoli condomini. Le pattuizioni negoziali che, sotto forma di riserva di proprietà a favore del costruttore o di cessione a terzi, sottraggono ai condomini l’uso del parcheggio vengono considerate nulle e, di conseguenza, il contratto traslativo della proprietà di un appartamento in condominio che non prevede anche il contestuale trasferimento del posto-auto si ritiene integrato ope legis, ex art. 1374 c.c., con il riconoscimento di un diritto reale di uso su quello spazio in favore del condomino e di un diritto dell’alienante ad un’integrazione del prezzo, nel caso in cui esso sia stato determinato solo sulla base del valore dell’appartamento.
Successivamente al ricordato intervento delle Sezioni unite, la L. 28 febbraio 1985, n. 47, in particolare l’art. 26, comma 5 (poi abrogato dal D.Lgs. 6 giugno 2001, n. 378, art. 136), ha stabilito che “Gli spazi di cui all’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 c.c.”. Con ciè è stata definitivamente sancita la sussistenza del rapporto di accessorietà, proprio delle pertinenze, del posto auto rispetto al fabbricato, come era stato già individuato dai sostenitori della teoria soggettiva;
ma, nel contempo, attraverso il richiamo all’art. 818 c.c. (che, al secondo comma, stabilisce che “le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici”), consente di affermare la alienabilità del posto auto separatamente dall’unità immobiliare di cui costituisce pertinenza. Il riconoscimento della natura di pertinenza integra uno specifico tipo di regolamentazione dei rapporti interprivati in base al quale il proprietario che vende l’immobile ad altro soggetto può ben riservarsi la proprietà dell’area di parcheggio con il solo obbligo di rispettare il vincolo di destinazione.
In ambito giurisprudenziale, dopo il susseguirsi di pronunce contraddittorie, sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 18 luglio 1989, n. 3363, affermando che “gli spazi a parcheggio sono liberamente alienabili, ma nei limiti della destinazione a parcheggio non modificabile e del diritto reale di uso esclusivo riconosciuto agli utenti degli alloggi”. Al riguardo è stato ribadito che la norma urbanistica che imponga vincoli o limiti alla proprietà, ha natura imperativa e inderogabile non solo nei rapporti fra costruttore e Pubblica Amministrazione, in quanto norma di azione, ma anche nei rapporti tra costruttore e terzi che da quei vincoli o limiti ricevono un vantaggio, in quanto norma di relazione. Il vincolo di destinazione permanente a parcheggio va inquadrato nella categoria delle “limitazioni legali della proprietà privata per scopo di pubblico interesse” e si conforma ope legis in un diritto reale di uso dell’area di parcheggio in favore del condominio. L’inderogabilità comporta la nullità dei patti contrari e la loro sostituzione con le previsioni della legge. La L. n. 47 del 1985, all’art. 26, non ha portata innovativa, ma confermativa del regime della L. n. 765 del 1967, proprio in forza del riferimento al vincolo pertinenziale.
In altri termini, il vincolo che grava sulle aree a parcheggio ha natura non solo oggettiva ma anche soggettiva, e si trasferisce, automaticamente, con il trasferimento della titolarità dell’abitazione: è un diritto reale d’uso, di natura pubblicistica, che la legge pone a favore dei condomini del fabbricato cui accede, e limita il diritto di proprietà dell’area. Peraltro, nel rispetto di tale vincolo, il proprietario può riservarsi la proprietà o cederla a terzi, mentre, qualora nei titoli di acquisto non vi sia stata al riguardo alcuna riserva o sia stato omesso qualunque riferimento, gli spazi destinati a parcheggio vengono ceduti in comproprietà pro quota, quali pertinenze delle singole unità immobiliari secondo il regime previsto dagli artt. 817 e 818 c.c., venendo così a fare parte delle cose comuni di cui all’art. 1117 c.c. (v., sul punto, tra le altre, Cass. 16 gennaio 2008 n. 730 e 18 luglio 2003 n. 11261).
E’, poi, intervenuto nuovamente il legislatore con la L. 24 marzo 1989, n. 122 (c.d. Legge Tognoli). L’art. 2 di detta legge ha, innanzitutto, modificato la L. n. 1150 del 1942, nell’art. 41 sexies, nel senso di aumentare la quantità delle aree da destinare a parcheggio delle nuove costruzioni, portando il rapporto tra tali aree e la volumetria del fabbricato ad un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione (considerando, quindi, le aree di parcheggio uno standard urbanistico). Di più importante rilievo giuridico è l’art. 9, che prevede che “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero in locali siti al piano terreno parcheggi da destinarsi a pertinenza delle singole unità immobiliari e ciò anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti” (comma 1), stabilendo la soggezione di tali interventi – anzichè a concessione edilizia – a sola autorizzazione gratuita (comma 2, poi sostituito, per effetto dal D.P.R. 27 dicembre 2002, n. 301, art. 137, nel senso della soggezione degli interventi medesimi a denuncia di inizio attività), e richiedendo un quorum ridotto per le delibere condominiali necessarie per l’approvazione degli interventi in oggetto (comma 3). In ogni caso, è previsto che i parcheggi, così realizzati, “non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli” (comma 4).
L’art. 9 della legge richiamata detta una disciplina vincolistica diversa da quella che vige per i parcheggi di cui alla legge ponte, i quali possono sicuramente essere alienati separatamente dall’unità immobiliare cui accedono, fermo restando il diritto di uso in capo al proprietario e/o utilizzatore dell’immobile principale. A ben vedere, la ratio del divieto di circolazione dei parcheggi di cui alla Legge Tognoli ben può ravvisarsi nell’intento di evitare speculazioni da parte di chi ha usufruito di speciali deroghe ed agevolazioni per la realizzazione degli stessi.
Gli interventi legislativi che si sono susseguiti in materia di parcheggi, secondo la giurisprudenza (avallata dalla dottrina), hanno determinato l’esistenza di tre diverse tipologie di parcheggi, ciascuna caratterizzata da una propria disciplina: a) parcheggi soggetti a vincolo di destinazione, cioè “a utilizzazione vincolata”, ai quali inerisce una qualificazione pertinenziale ex lege, in quanto realizzati ai sensi dell’art. 18 della legge ponte (poi integrata dall’art. 26 della legge sul condono); b) parcheggi soggetti a vincolo di destinazione e a vincolo di inscindibilità dall’unità principale, cioè “a utilizzazione vincolata” e, al tempo stesso, “a circolazione controllata”, perchè costruiti in base alla Legge Tognoli (122/1989); c) parcheggi non rientranti in tali due specie, soggetti alla regole del diritto comune e, quindi, “a utilizzazione e a circolazione libera”, non vincolata in base a speciali limiti (inderogabili) di legge (v. Sezioni unite, sentenza 15 giugno 2005, n. 12793).
La L. 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), all’art. 12, comma 9, ha, poi, modificato la L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies, aggiungendovi il comma 2, per effetto del quale “Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta nè da diritti d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse”.
La norma richiamata che – come già chiarito da questa Corte – trova applicazione soltanto per il futuro, vale a dire per le sole costruzioni non realizzate o per quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non erano ancora state stipulate le vendite delle singole unità immobiliari (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4264) – liberalizza, infine, il regime delle aree destinate a parcheggio.
La L. n. 246 del 2005, è di poco successiva alla già ricordata sentenza 15 giugno 2005, n. 12793, nella quale le Sezioni unite, nel risolvere un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto alla superficie minima richiesta dalla legge non sono soggetti ad alcun diritto d’uso da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari dell’edificio; in tal modo già delimitando quantitativamente il regime vincolistico delle aree in questione.
Alla luce della operata ricostruzione del sistema della circolazione degli spazi destinati a parcheggio, può ora esaminarsi la illustrata censura alla decisione della Corte catanese dalla ricorrente principale. Con un unico motivo la SIna lamenta, da un lato, che il giudice di appello abbia ritenuto provato che la modifica della destinazione d’uso dello spazio da destinare a parcheggio fosse avvenuta per fatto della società venditrice- costruttrice, dall’altro, che non sussiste alcuna posizione di diritto reale d’uso in capo alla controricorrente.
Mentre la seconda doglianza relativa alla natura del diritto fatto valere dalla C. appare infondata per quanto sopra esposto, essendo la fattispecie riconducibile a una delle prime due categorie di parcheggi, da desumersi con riferimento al tempo del rogito notarile (l’anno 1995), la prima censura è da ritenere inammissibile perchè priva della specificità necessaria per consentire il controllo di legittimità sull’operato del giudice di merito la cui decisione è sottoposta a critica. Non è infatti indicato, neppure sommariamente, da quali elementi di giudizio la corte distrettuale avrebbe dovuto desumere di riferire il mutamento di destinazione delle aree scoperte vincolate a parcheggio a terzi e non al costruttore-venditore, dal momento che essendo detti spazi occupati da ballatoi delimitati da ringhiere in ferro di pertinenza esclusiva delle unità abitative realizzate a piano seminterrato (nel progetto originario indicate come cantine) e da una scala di accesso al piano sotto scala, le cui caratteristiche costruttive, come osservato dal giudice del gravame, si presentavano identiche alle dotazioni degli altri appartamenti ed apparivano coeve all’originaria edificazione del fabbricato.
Del pari ritiene il relatore che non si prospetti come fondato il ricorso incidentale.
Costantemente la giurisprudenza ritiene che nella ipotesi in cui, pur previsto nel progetto autorizzato, lo spazio da adibire a parcheggio non sia stato affatto riservato a tal fine in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od opere d’altra natura che, in ragione di questa, siano da destinare a diversa utilizzazione, pur ravvisarsi a carico del costruttore responsabilità d’ordine amministrativo ed eventualmente penale, non possono, per contro, ravvisarsene d’ordine privatistico sub specie di oneri ripristinatori, poichè il rapporto di pertinenzialità tra bene principale e bene accessorio, oggetto della tutela de qua, non si è costituito, dal momento che lo stesso bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale non è neppure venuto ad esistenza.
Può, di converso, ipotizzarsi in favore degli acquirenti delle singole unità immobiliari (cfr Cass. 5 maggio 2009 n. 10341; Cass. 18 aprile 2003 n. 6329; Cass. 27 gennaio 1995 n. 11194) una tutela risarcitoria, in ragione dell’ampio campo d’applicazione del combinato disposto degli artt. 871 e 872 c.c., la cui estensibilità a qualsiasi violazione della normativa edilizia dalla quale al privato derivi un danno è stata ripetutamente affermata dalla giurisprudenza.
Nella specie, accertato in punto di fatto dalla sentenza impugnata che l’originaria costruttrice-venditrice non aveva realizzato l’area destinata a parcheggio nei termini previsti nel progetto autorizzato, per le ragioni sopra esposte (per averla parzialmente trasformata utilizzando parte del relativo spazio per realizzarvi ballatoi delimitati da ringhiere in ferro di pertinenza esclusiva delle unità abitative realizzate a piano seminterrato – originariamente indicate come cantine – ed una scala di accesso al piano sotto scala), la SIna – in applicazione di detto orientamento giurisprudenziale – è stata condannata al solo risarcimento del danno.
Ciò precisato, si osserva che la doglianza della C. in ordine alla quantificazione del danno è priva di pregio, posto che la corte territoriale ha correttamente ritenuto di determinarne l’ammontare con riferimento al valore di un posto auto, ossia al corrispettivo per l’acquisto del medesimo bene cui l’acquirente aveva diritto. Del resto il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto dall’ordinamento con caratteristiche e finalità punitive ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso ed, al contempo, lo stesso ordinamento non consente l’arricchimento ove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro (nemo locupletari potest cum aliena iactura), ciò anche nelle ipotesi per le quali il danno sia ritenuto in re ipsa e trovi la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dalla controparte”.
Nè le argomentazioni svolte dalla resistente – ricorrente incidentale nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2 appaiono idonee ad evidenziare profili non esaminati nella relazione e ad indurre, quindi, a conclusioni differenti da quelle proposte nella relazione stessa.
In particolare, le critiche nuovamente svolte alla sentenza del giudice distrettuale con specifico riferimento all’entità dei danni liquidati, che ad avviso della C. avrebbe dovuto ricomprendere, oltre al valore del posto auto, anche il suo mancato utilizzo, per farne discendere la fondatezza della maggiore pretesa, non tengono conto che pur ritenendo trattarsi di danno in re ipsa, la determinazione dello stesso con riferimento all’intero valore del bene è esaustivo del pregiudizio suscettibile di riparazione mediante tutela ripristinatoria, come evidenziato dalla relazione.
Del resto la presunzione attiene alla sola possibilità della sussistenza del danno ma non alla sua effettiva sussistenza e, tanto meno, alla sua entità materiale; l’affermazione del danno in re ipsa si riferisce, dunque, esclusivamente all’an debeatur, che presuppone soltanto l’accertamento d’un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque accidit, onde permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai diversi fini della determinazione quantitativa e della liquidazione di esso per equivalente pecuniario, e non è precluso al giudice il negare la risarcibilità stessa del danno ove la sua effettiva sussistenza o la sua materiale entità non risultino provate (v. Cass. 26 febbraio 2003 n. 2874, 18 novembre 2002 n. 16202, 7 marzo 2002 n. 3327, 18 febbraio 1995 n. 1799), onde non può ritenersi fondato il rimprovero mosso ai giudici del merito.
Il ricorso va, quindi, rigettato, al pari del ricorso incidentale.
Le spese di lite, stante l’esito del giudizio, vengono compensate per un terzo, mentre per la restante parte seguono il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale;
compensa le spese di questo grado di giudizio per un terzo e per la restante parte, che liquida in complessivi Euro 1.550,00, di cui Euro 150,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge, le pone a carico di parte ricorrente.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile – 2 della Corte di cassazione, il 24 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2012.