Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza febbraio 1998 n. 1389
L'installazione di un'autoclave è un'innovazione? Il singolo condomino può installarne una nei locali comuni? E se si installa un'autoclave condominiale, chi è tenuto a contribuire alle spese?
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Gaetano GAROFALO Presidente
Michele ANNUNZIATA Rel. Consigliere
Giovanni PAOLINI
Alfredo MENSITIERI
Roberto Michele TRIOLA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CL, CE, RF e SL, elettivamente domiciliati in Roma, Viale Delle Milizie 106, presso lo studio dell’avvocato E. GAGLIANO, difesi dall’avvocato Fabrizio BRACHINI, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
CA, PAFFI SIRIA, RL, GL, GF, SO in persona e nella qualità di erede di MB, BM, SR;
- intimati -
avverso la sentenza n. 983-94 del Tribunale di GROSSETO, depositata il 29-11-94;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03-10-97 dal Consigliere Dott. Michele ANNUNZIATA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Francesco MELE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Fatto
Con atto di citazione notificato il 3.7.1990, Cavalletto Vittorio, quale condominio di un edificio, conveniva in giudizio innanzi al pretore di Grosseto, i condomini che nel corso di una assemblea condominiale tenutasi il 6.4.1988 si erano opposti all’installazione di un impianto di autoclave che consentisse di risolvere i gravi inconvenienti dovuti alla mancata (od insufficiente) erogazione dell’acqua potabile nei singoli appartamenti, chiedendo: a) che fosse riconosciuto il proprio diritto al godimento del servizio idrico in condizioni di efficienza; b) che fosse dichiarato dal Pretore che le spese necessarie per ovviare agli inconvenienti anzidetti, mediante l’installazione di un impianto di autoclave, fossero ripartite, pro quota, tra tutti i condomini.
Procedutosi all’integrazione del contraddittorio nei confronti di condomini Rossi Fedora e Schiano Luciano (che in assemblea avevano votato per l’installazione dell’autoclave) e costituitisi in giudizio Cavalletto Enrico ed Alberto (in luogo di Cavalletto Vittorio nel frattempo deceduto), il Pretore di Grosseto con sentenza in data 23.6.1993 accoglieva la domanda degli attori.
Avverso tale sentenza proponevano appello i convenuti.
Con sentenza in data 29 novembre 1994 il Tribunale di Grosseto, in riforma di quella appellata, rigettava le domande degli attori condannandoli a rifondere agli appellanti le spese di entrambi i gradi del giudizio, osservando che:
a) l’installazione di un’autoclave, deve essere qualificata come modifica della cosa (e non innovazione diretta ad immutare la struttura o la destinazione delle parti comuni dell’edificio) disciplinata dall’art. 1102 c.c., nella parte in cui attribuisce al singolo condominio la facoltà di apportare, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa;
b) a favore di tale soluzione ricorre l’ulteriore requisito, risultante dalla relazione peritale di primo grado, della realizzabilità di impianti singoli destinati a servire singoli appartamenti;
c) le spese per l’installazione di un impianto di autoclave condominiale, pertanto, graveranno su tutti i condomini solo nel caso in cui l’intervento sarà deliberato dall’assemblea con la maggioranza richiesta dalla legge; altrimenti, ai sensi del disposto dell’art. 1102 cod. civ., graveranno solo sui condomini che intenderanno godere di tale servizio apportando alla cosa comune le necessarie modifiche.
Contro questa decisione ricorrono per cassazione Cavalletti Alberto ed Enrico nonché Rossi Fedora e Schiano Luciano, affidando il mezzo a due motivi.
Non hanno svolto attività difensiva gli altri condomini.
Diritto
Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 cod. civ., deducono che il Tribunale ha errato allorché ha omesso di considerare che, per quanto attiene all’individuazione, all’uso ed alla conservazione delle parti comuni dell’edificio (tra le quali rientra l’impianto idrico) il codice ha dettato norme specifiche (capo II – del condominio negli edifici – ed il Titolo VII – Della Comunione – del Libro III) che tengono conto della peculiarità di tale materia rispetto alla comunione in generale (disciplinata dal Capo I – comprendente tra l’altro l’art. 1102 c.c. – del predetto titolo VII).
Aggiungono i ricorrenti che, dall’esame degli articoli 1117, 1118 e 1123 c.c. risulta chiaramente che, accanto alle due figure prese in esame dal giudice d’appello, ne esiste anche una terza che riguarda le opere di conservazione degli impianti di uso comune, dal cui esame non poteva affetto prescindersi. I limiti ristretti che invece si è posto tale giudice nel riesaminare e riqualificare la fattispecie, distinguendo soltanto tra modifiche consentite ed innovazioni, hanno inevitabilmente fuorviato il suo giudizio verso soluzioni giuridicamente inaccettabili. Tale distinzione appare oltretutto superflua e fuorviante ai fini della decisione, in quanto deve ritenersi ormai pacifico, in dottrina ed in giurisprudenza, che l’autoclave, in sè e per sè considerata, non possa affatto considerarsi innovazione, costituendo invece una parte integrante dell’impianto idrico. Soggiungono, ancora, che, una volta accertato che la “cosa comune” oggetto della vertenza concerne l’impianto idrico condominiale, occorre distinguere, nell’ambito di tale categoria, quali opere debbano ritenersi dirette alla conservazione dell’impianto stesso e quali invece costituiscano una semplice miglioria.
Conservare un impianto, secondo il significato comunemente accolto di tale espressione, significa mantenerlo in buono stato di efficienza in ogni suo componente, eliminando le cause che impediscono o riducono il suo regolare funzionamento.
Per quanto attiene all’impianto idrico in particolare, questo può dirsi efficiente, sulla base delle odierne concezioni di vita, quando l’acqua giunge alle singole unità abitative per la sua naturale spinta durante l’intero corso della giornata senza interruzioni o riduzioni di pressioni.
Nel caso che ne occupa, considerate le comprovate deficienze di approvvigionamento idrico, l’unica soluzione tecnicamente praticabile per risolvere i suddetti inconvenienti, era e resta quella di predisporre un serbatoio di riserva munito di pompa di sollevamento.
Posta, la distinzione tra opere dirette alla conservazione di un servizio e quelle che invece costituiscono una semplice miglioria, nel caso specifico, l’installazione di un impianto di autoclave rientra tra le opere di conservazione dell’impianto idrico e non tra le migliorie, con la conseguenza che, ai sensi degli artt. 1118 e 1123 c.c, alle spese relative debbano contribuire tutti i condomini, compresi quelli che, abitando ai piani inferiori, non risentono affatto delle carenza idriche (o ne risentono in misura minore) e quelli che intendono rinunciare al servizio.
Con il secondo motivo, denunciando vizi di omessa od insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, deducono i ricorrenti che la decisione del giudice di appello appare censurabile, per quanto attiene alla motivazione resa in ordine alla possibilità di installare autoclavi singole, in quanto il giudizio tecnico riferito dal CTU non può essere posto a fondamento del convincimento del giudice senza una adeguata spiegazione delle fonti di tale convincimento e dei motivi che hanno condotto alla decisione.
Innanzitutto, possibilità tecnica di installare autoclavi singole non significa necessariamente possibilità giuridica. L’esistenza di locali condominiali posti nel seminterrato, da dove si dipartono le colonne montanti e dove sono ubicati i contatori dell’acqua, non implica automaticamente che il singolo condominio possa fare degli stessi locali, che per loro natura e destinazione debbono restare liberi, l’uso che più gli conviene.
Infatti, anche nella denegata ipotesi in cui l’autoclave singola dovesse considerarsi un’opera diretta al miglior godimento della cosa ex art. 1102 c.c., come dichiarato dal Tribunale, non sarebbe affatto consentita la sua installazione nei vani comuni per il divieto frapposto dalla prima parte di tale articolo che vieta un utilizzo della cosa comune quando sia impedito il pari uso da parte degli altri condomini e dall’art. 1120, 2 co., c.c., che vieta le innovazioni che rendano talune parti dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condominio. E nel caso di costruzione, nel cortile comune, di un’autoclave per il servizio di una singola unità abitativa – seppure consentita con deliberazione dell’assemblea condominiale a norma del comma 4 dell’art. 1136 – comporta sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all’uso e godimento degli altri condomini.
Quindi alla luce delle suddette considerazioni, neppure la tardiva offerta formulata, tra l’altro irritualmente, delle controparti nel corso di causa di secondo grado di consentire l’installazione di autoclavi singole nei predetti locali condominiali può essere idonea a rimuovere gli ostacoli evidenziati.
La sentenza della Cassazione 3 febbraio 1987 n. 1911 ha giustamente sancito che “non appare censurabile la collocazione (dell’impianto singolo) tra le innovazioni vietate ai sensi del 2 comma dell’art. 1120 c.c.. A tale collocazione, ovviamente l’innovazione sarebbe sfuggita, solo se stante il mutamento del regime di comunione immobiliare ad essa ricollegato, il consenso di tutti i condomini fosse stato espresso, attraverso atto scritto ai sensi dell’art. 1350 cod. civ.”.
Le censure dei ricorrenti non hanno pregio.
Con le stesse censure (che possono essere esaminate congiuntamente, per la connessione tra loro) i ricorrenti ripropongono, in sede di legittimità, il problema se tutti i condomini siano tenuti alle spese pro quota, per l’installazione di impianto di autoclave (per evitare gli inconvenienti derivanti dalla insufficiente erogazione dell’acqua negli appartamenti dell’edificio condominiale), quando non vi sia adesione di tutti i condomini alla spesa necessaria.
La sentenza impugnata ha dato al quesito risposta negativa (sia pure con succinta motivazione), sul rilievo che l’opera in esame (autoclave) rappresenta non una innovazione (art. 1120 e 1121 cod. civ.), ma bensì una modifica dell’impianto idrico esistente, che rientra nelle facoltà di ogni condominio (art. 1102 cod. civ.).
Osserva la Corte che è corretta la qualificazione dell’opera come modifica ai sensi dell’art. 1102 cit., che consente anche l’installazione di autoclavi singole nei locali condominiali nel seminterrato, in quanto pure rientranti nel potere di modifica di ogni condominio, senza che l’installazione possa alterare la natura e la destinazione del seminterrato (tra le tante, Cass. 29 luglio 1989 n. 3549).
Se così e (se cioè, ogni condomino, senza ledere il diritto di altri condomini sulla cosa comune, ha il cennato potere di modifica della stessa cosa; nel caso che ne occupa, l’impianto idrico), è evidente che ogni condomino (compresi i ricorrenti) ha facoltà di impiantare singole autoclavi. Del resto, la consulenza di ufficio acquisita agli atti ha indicato i locali, dove è possibile esercitare la facoltà in discorso (seminterrato), dal punto di vista tecnico della localizzazione dei singoli interventi (autoclavi).
Ora, se è possibile (anche dal punto di vista giuridico) servirsi dei locali sotterranei per singole autoclavi, va da sè che il condomino che prende l’iniziativa deve sopportare anche le relative spese.
Non può pretendere (come sostengono i ricorrenti) che all’installazione di autoclave partecipino, per le relative spese, anche gli altri condomini (che hanno pari facoltà e, tuttavia, non intendono aderire all’iniziativa).
E, infine, non vi è dubbio alcuno che la disciplina dell’art. 1102 cod. civ. trovi applicazione anche nel condominio negli edifici.
Infatti per la installazione di autoclave autonoma nel condominio ex art. 1102 cit., si è pronunciata Cass. 23 febbraio 1987 n. 1911 e la Sezione non ha seri motivi per discostarsi da tale orientamento.
Poiché la sentenza impugnata si è uniformata ai principi che precedono, va confermata e il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nulla per le spese, perché gli altri condomini non hanno svolto attività difensiva, in sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 3 ottobre 1997.