Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza 29 settembre 1997 n. 9545
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Gaetano NICASTRO Presidente Guido MARLETTA Consigliere Paolo VITTORIA Roberto PREDEN Rel. Michele VARRONE ha pronunciato la […]
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Gaetano NICASTRO Presidente
Guido MARLETTA Consigliere
Paolo VITTORIA
Roberto PREDEN Rel.
Michele VARRONE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da MONDIAL LUS SPA, con sede in Milano, in persona dell’Amministratrice Sig.ra Giuseppina Carnelli, elettivamente domiciliata in Roma Via Acherusio 18, presso lo studio dell’avvocatoGiuseppe Mannino, che la difende anche disgiuntamente all’avvocatoPaolo Giuggioli, giusta delega in atti;
Ricorrente
contro
BERRINI FABRIZIO, elettivamente domiciliato in Roma Via Val Maggia 26, presso lo studio dell’avvocato Giannasio Michele, difeso dall’avvocato Giorgio G. Lino, giusta delega in atti;
Controricorrente
avverso la sentenza n. 1077-94 del Tribunale di Busto Arsizio, emessa il 07-10-94 e depositata il 24-11-94 (R.G. 3-93);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17-03-97 dal Relatore Consigliere Dott. Roberto Preden;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico Iannelli che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 10.6.93, la S.p.a. Mondial Lus proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale il Pretore di Busto Arsizio le aveva intimato di pagare a Fabrizio Berrini la somma di L. 44.618.003 a titolo di indennità per perdita dell’avviamento commerciale, ai sensi dell’art. 34 l. n. 392-78, per la cessazione alla prima scadenza della locazione ad uso commerciale stipulata il 17.4.87.
A sostegno dell’opposizione eccepiva che la disdetta comunicata con raccomandata del 30.1.92 doveva ritenersi nulla, in quanto non recante la specificazione dei motivi, come imposto dall’art. 29, comma 4, l. n. 392-78, sicché la cessazione del rapporto non era riferibile alla volontà della locatrice, bensì a recesso del conduttore, che non poteva quindi pretendere l’indennità, ai sensi dell’art. 34, comma 1, l. cit.
Il Pretore rigettava l’opposizione sul rilievo che la nullità della disdetta, ai sensi dell’art. 29, comma 4, l. cit., è deducibile soltanto dal conduttore.
Pronunciando sull’appello della Mondial Lus, al quale aveva resistito il Berrini il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza del 24.11.94, lo rigettava. Considerava il tribunale che la nullità prevista dall’art. 29, comma 4, l. cit., è invocabile soltanto dal conduttore, alla cui tutela è esclusivamente posta; che l’adesione alla disdetta immotivata, manifestata dal conduttore con lettera del 29.1.93, aveva determinato la cessazione del rapporto; che tale cessazione era riferibile all’iniziativa del locatore, poiché il conduttore si era limitato a prendere atto della volontà di controparte di porre termine al rapporto, sicché sussisteva il diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento.
Ricorre per cassazione la Mondial Lus sulla base di due motivi, ai quali resiste, con controricorso il Berrini.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
DIRITTO
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 4, l. n. 392-78, e difetto di motivazione, la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la nullità del diniego di rinnovo alla prima scadenza per omessa specificazione del motivo possa essere eccepita soltanto dal conduttore, poiché nell’esclusivo interesse di quest’ultimo è posto l’obbligo del locatore di indicare specificamente il motivo.
Afferma che anche il locatore, il quale abbia inviato una comunicazione di diniego immotivata, ha interesse ad eccepire la nullità, onde evitare che la sorte del contratto sia rimessa, fino alla maturazione della data della prima scadenza, all’arbitrio del conduttore, libero di optare, a seconda se voglia avvalersi o meno dell’eccezione di nullità della disdetta, per la rinnovazione del rapporto o per la sua cessazione.
Soggiunge che la S.C., con sent. n. 1776-89, ha espressamente riconosciuto che anche il locatore è legittimato a dedurre la nullità, ai sensi dell’art. 79 l. n. 392-78, di pattuizioni contrastanti con le norme imperative poste dalla legge medesima, in quanto dirette a limitare la durata legale del contratto.
1.1. Il motivo non è fondato.
L’art. 29 l. n. 392-1978, in tema di diniego di rinnovazione, alla prima scadenza, dei contratti di locazione di immobili in cui siano esercitate le attività indicate nel precedente art. 27, commi 1, 2 e 3, indica, nei primi due commi (il secondo dei quali riguarda in via esclusiva le locazioni alberghiere), i motivi in base ai quali il diniego è consentito; dispone, nel comma 3, che, ai fini dell’esercizio del diritto in esame, il locatore, a pena di decadenza, deve dichiarare la propria volontà di conseguire, alla scadenza del contratto, la disponibilità dell’immobile locato, mediante atto da comunicare al conduttore, mediante lettera raccomandata, almeno dodici mesi prima della scadenza (termine elevato a diciotto mesi per le locazioni alberghiere); stabilisce infine, nel comma 4, che nella comunicazione deve essere specificato, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati nei commi precedenti, sul quale la disdetta è fondata.
Per quanto concerne, in particolare, la specificità della disdetta, questa Corte ha avuto modo di precisare che la comunicazione del diniego di rinnovazione non può limitarsi a fare generico riferimento all’intenzione del locatore di svolgere, nell’immobile del quale si richiede la restituzione, un’attività non meglio specificata, rientrante in una delle ipotesi previste dall’art. 29 l. n. 392-1978, ma deve indicare, incorrendo altrimenti nella sanzione di nullità di cui al comma 4 del menzionato articolo, quale particolare attività il locatore (o chi a suo posto) intende svolgere nel detto immobile, sia perché, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la serietà della intenzione indicata, ed il giudice non potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza della condizione per il riconoscimento del diritto al diniego di rinnovo, sia perché verrebbe impedito il successivo controllo sull’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato, ai fini dell’applicazione delle sanzioni previste dal successivo art. 31 (sent. n. 5150-93; n. 2621-92; n. 8775-91).
Alla specificità della disdetta la giurisprudenza di questa S.C. attribuisce quindi rilievo non soltanto per la soddisfazione delle esigenze di informazione e di controllo che spettano la conduttore, destinatario della comunicazione, ma anche per l’adeguato espletamento di funzioni riservate al giudice, con particolare riguardo allo scrutinio della conformità della pretesa alla fattispecie legale delineata dagli artt. 28 e 29 L. n. 392-78, implicante una disdetta caratterizzata da un ben preciso contenuto. E sotto tale profilo viene in considerazione l’esigenza di tutela della stabilità delle locazioni non abitative, che la l. n. 392-78 persegue, anche nell’interesse generale dell’economia, consentendone la cessazione alla prima scadenza del periodo legale di durata solo nelle tassative ipotesi previste per il diniego di rinnovazione.
Ora, ha ritenuto il tribunale che la menzionata nullità può essere invocata soltanto dal conduttore, poiché a sua esclusiva tutela è dettata la norma. Si tratterebbe, quindi, di una ipotesi di “nullità relativa” desunta in via di interpretazione, attribuendo rilievo determinante all’interesse tutelato dalla norma che impone la specificità di contenuto del diniego di rinnovo.
Osserva il Collegio che la configurabilità di una nullità relativa si desume dall’art. 1421 c.c., che, mentre pone il principio generale secondo il quale la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, fa tuttavia salve eventuali diverse disposizioni, così consentendo la previsione di una legittimazione a far valere la nullità riservata esclusivamente a determinati soggetti.
Tale ristretta legittimazione implica peraltro anche la non rilevabilità d’ufficio della nullità relativa. La nullità relativa si caratterizza infatti per essere nella disponibilità esclusiva di determinati soggetti al cui arbitrio è affidata la valutazione dell’interesse a farla valere, sicchè è da ritenere (salvo diversa previsione, come, ad esempio, quella di cui all’art. 1469 – quinquies, comma 3, c.c.) incompatibile con la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, la cui valutazione verrebbe a sovrapporsi a quella dell’esclusivo legittimato. Consegue che la natura relativa della nullità assicura meno intenso presidio alla norma alla cui violazione si ricollega, sia perché deducibile solo da determinati soggetti, sia perché non rilevabile d’ufficio dal giudice.
La previsione dell’esclusiva legittimazione di determinati soggetti (alla quale è conseguenziale la non rilevabilità d’ufficio) non deve tuttavia essere necessariamente espressa, poiché la “diversa disposizione” può ben essere ricostruita dall’interprete (in tal senso: sent. n. 3508-74).
Non vale tuttavia a sorreggere una operazione ermeneutica siffatta l’apodittico assunto, posto dal tribunale a fondamento della sua decisione, secondo cui la norma racchiusa nell’art. 29, comma 4, l. n. 392-78, pur non recando espressa previsione della esclusiva legittimazione del conduttore a far valere la nullità, dovrebbe in tal senso essere interpretata, perché dettata nell’esclusivo interesse del conduttore.
In primo luogo, non è certamente trascurabile la constatazione che la norma in esame non solo non fissa limiti alla legittimazione a dedurre la nullità, ma non contiene neppure previsioni di sorta che comunque consentano di qualificare la sancita nullità come relativa, in deroga al principio generale dettato dall’art. 1421 c.c. (argomenti già valorizzati da questa S.C. per negare natura relativa alla nullità sancita dall’art. 79 l. n. 392-78 per le pattuizioni dirette a limitare la durata legale del contratto: sent. n. 1776789: n. 5827-93).
E per quanto concerne la ritenuta implicita relatività della nullità, in ragione dell’interesse tutelato, va rilevato che l’affermazione consegue ad una lettura riduttiva della norma. Questa infatti, come precedentemente osservato, lungi dal porsi come esclusivo strumento di tutela di un interesse strettamente individuale, proprio del conduttore, è contemporaneamente volta alla tutela della stabilità delle locazioni non abitative, nell’interesse generale dell’economia, che costituisce una delle ragioni ispiratrici della l. n. 392-78.
In conclusione, la nullità sancita dalla norma in esame non integra nullità relativa, deducibile solo dal conduttore e non rilevabile d’ufficio dal giudice, bensì nullità assoluta, che, ai sensi dell’art. 1421 c.c., può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
1.2. L’impugnata sentenza risulta quindi non conforme a diritto nella parte in cui ha negato al locatore la legittimazione a far valere la nullità, per difetto di specificità, della disdetta intimata per la prima scadenza contrattuale, in ragione della natura relativa della nullità in questione.
Le considerazioni che precedono non consentono tuttavia di accogliere la censura.
Per costante giurisprudenza di questa S.C. la legittimazione generale a far valere la nullità, prevista dall’art. 1421 c.c., non esime il soggetto che propone l’azione o formula l’eccezione di nullità di dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire, secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c. (sent. n. 1553-81; n. 1475-82).
La nullità non è quindi deducibili, in via di azione o di eccezione, in mancanza della dimostrazione, da parte del soggetto che la fa valere, della necessità di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale del proprio diritto e il conseguente danno alla propria sfera giuridica, senza che sia sufficiente il bisogno di rimuovere una situazione di incertezza, occorrendo pur sempre dimostrare che questa produce un danno giuridicamente rilevante (sent. n. 7197-93).
Ora, deduce la ricorrente che il suo interesse a dedurre la nullità della disdetta del 30.1.92 derivava dalla situazione di totale incertezza sulle successive sorti del contratto, essendo rimessa all’assoluto arbitrio del conduttore la scelta se invocare la nullità dell’atto, con conseguente rinnovazione della locazione, ovvero non invocarla, determinando la cessazione del rapporto.
Ma così non è. Risulta infatti dalla sentenza impugnata che il conduttore, con lettera del 30.1.92, aveva espressamente dichiarato di non opporsi alla disdetta e di essere disposto a rilasciare l’immobile alla scadenza convenuta del 29.3.93, sicché, pur volendo aderire all’assunto della ricorrente secondo cui varrebbe a radicare l’interesse la suindicata situazione di incertezza, nessuna incertezza sulla cessazione del rapporto permaneva al momento in cui, con l’opposizione a decreto ingiuntivo notificata il 20.6.93, la locatrice ha dedotto la nullità.
La locatrice, quindi, ancorché astrattamente legittimata ad invocare la nullità sancita dall’art. 29, comma 4, l. n. 392-78, in concreto non era titolare di un interesse attuale ad eccepirla.
Così emendata nella motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la statuizione del tribunale va quindi tenuta ferma.
Corrette appaiono altresì le conclusioni, circa la cessazione del rapporto e la spettanza del diritto all’indennità, che il tribunale ha tratto dalla adesione prestata dal conduttore alla immotivata disdetta inviatagli dalla locatrice.
Questa S.C. ha invero avuto modo di precisare che una disdetta immotivata e perciò inidonea, di per sè sola, a produrre gli effetti suoi propri (e cioè l’impedimento alla rinnovazione della locazione), determina tuttavia, nel caso di adesione del conduttore, la cessazione del rapporto alla data contrattualmente stabilita (sent. n. 8262-96).
Ed una adesione siffatta, pur implicando rinuncia da parte del conduttore al diritto alla rinnovazione del contratto, non è affetta da nullità, ai sensi dell’art. 79 l. n. 392-78, poiché non integra rinuncia preventiva al menzionato diritto, come tale invalida, bensì rinuncia compiuta dopo l’intervenuta concretizzazione del diritto, come deve ritenersi senz’altro consentito (v. sent. n. 8444-96, in tema di rinuncia al diritto di prelazione, dove si sottolinea che occorre che il diritto sia concretamente sorto e possa essere fatto valere; v. anche, con specifico riferimento al diritto alla rinnovazione, sent. n. 8262-96, n. 10270-95 e n. 4709-91, che reputano valida la rinuncia a tale diritto, se intervenuta dopo la stipulazione del contratto).
Nè la mancata opposizione del conduttore all’iniziativa del locatore di porre termine al rapporto può determinare il venir meno del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento. Ai sensi dell’art. 34 l. n. 392-78 l’esclusione del diritto all’indennità è infatti ricollegata alla riferibilità della cessazione del rapporto alla volontà del conduttore, manifestata con il recesso o la disdetta (ipotesi alle quali è stata equiparata la risoluzione per mutuo consenso, in quanto alle predette assimilabile nella genesi:
Corte cost. ord. n. 565-89), ovvero al predetto addebitabile (risoluzione per inadempimento e fallimento). Nella prima ipotesi si è invero ritenuto, con valutazione legale tipica, che l’aver determinato, in virtù di una libera scelta, la cessazione della locazione, sia indicativo della carenza di interesse a beneficiare della tutela, nella seconda, che non sia meritevole di tutela il conduttore-imprenditore che sia inadempiente alle obbligazioni contrattuali o che versi in crisi economica. Con riguardo alla prima ipotesi, invocata nel caso in esame dalla locatrice per contestare la spettanza dell’indennità al conduttore, occorre, in definitiva, che la cessazione del rapporto sia dovuta all’iniziativa del conduttore (espressa con la disdetta o il recesso) ovvero alla partecipazione del predetto ad una convenzione risolutoria (scioglimento per mutuo consenso ex art. 1372, comma 1, c.c.), sicché, argomentando a contrario, l’indennità è invece dovuta in tutte le ipotesi in cui la cessazione della locazione sia stata determinata dall’iniziativa o dalla condotta del locatore. Con l’ulteriore precisazione che, in tale eventualità, non rileva che il conduttore abbia rilasciato l’immobile senza contestazioni in sede giudiziale o stragiudiziale, prestando adesione, espressa o tacita, alla richiesta del locatore, poiché la genesi della cessazione del rapporto si identifica pur sempre nella condotta del locatore, il quale abbia manifestato la volontà di porre termine alla locazione (sent. n. 11974-91; n. 10730-93; n. 6133-95; n. 6548-95; n. 1230-97). Ed il tribunale ha fatto puntuale applicazione del suindicato principio: lo ha invero espressamente richiamato, e, con incensurabile apprezzamento di fatto, ha ritenuto riferibile la cessazione del rapporto all’esclusiva iniziativa del locatore, per avere questi manifestato l’inequivoca volontà di far cessare il rapporto alla scadenza con la disdetta del 30.1.92, della quale il conduttore si era limitato a prendere atto, dichiarando di non opporsi al rilascio.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e difetto di motivazione, la ricorrente addebita al tribunale di non aver considerato che il conduttore, prestando adesione alla disdetta immotivata solo dopo un anno dal suo invio, aveva violato gli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, sfruttando a proprio esclusivo vantaggio la situazione di incertezza giuridica circa le sorti del rapporto locatizio.
2.1. Il motivo non è fondato.
La violazione degli obblighi di correttezza e buona fede rileva invero sul piano della responsabilità, determinando un obbligo risarcitorio, qualora concreti la violazione di un diritto altrui già riconosciuto da altre norme (sent. 3250-77), e non risulta che una domanda in tal senso sia stata proposta dalla ricorrente.
La doglianza risulta quindi inammissibile, per difetto di interesse, in quanto non funzionale a pertinente domanda ritualmente proposta.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del resistente, che liquida in L. 274.500, oltre L. 3.000.000 (tre milioni) per onorari.
Così deciso in Roma il 17.3.97