Tribunale di Salerno, Sezione I, Sentenza 02 ottobre 2009
REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano Il TRIBUNALE di SALERNO, I sezione civile in persona del signor dott. A.S. ha pronunciato all’udienza del giorno 2 ottobre 2009 la seguente […]
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Il TRIBUNALE di SALERNO,
I sezione civile
in persona del signor
dott. A.S.
ha pronunciato all’udienza del giorno 2 ottobre 2009 la seguente
SENTENZA
nella causa n. 966/04 R.G. (cui sono riuniti i proc. nn. 2532/04,2533/04, 2534/04) in materia di locazione, vertente tra
N.N., rappresentato dai difensori Avvocati P. Fiorillo e G. Greco
Attore
e
SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C., rappresentata dal difensore Avvocato R. Fiorillo
Convenuta
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
N.N. , con citazione per l’udienza dell’11 marzo 2004 aveva intimato sfratto per morosità nei confronti della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C., in relazione all’immobile sito in Salerno, via S.B., locato con contratto di locazione per uso commerciale del gennaio 1992, per il mancato pagamento dei canoni mensili (pari ad euro 2.900,00) di gennaio e febbraio 2004, oltre oneri condominiali per euro 47,40; in sede di integrazione ex art. 426 c.p.c. l’attore proponeva altresì domanda risarcitoria ex art. 1591 per l’occupazione fino a marzo 2004, nonché domanda di condanna della conduttrice al pagamento delle spese necessarie al ripristino dell’immobile in conseguenza delle modifiche apportate e della sua omessa manutenzione.
La conduttrice SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. si opponeva con comparsa all’udienza del 12 marzo 2004, deducendo l’insussistenza della morosità, per essere il contratto già risolto per finita locazione alla scadenza del 31 dicembre 2003 (come da disdetta del 30 ottobre 2001), nonché la nullità della pattuizione di aumento del canone contenuta nella scrittura contrattuale, ed avanzava domanda riconvenzionale per la restituzione dei canoni illegittimi versati nonché degli interessi sul deposito cauzionale. Il Giudice rigettava l’istanza di ordinanza provvisoria di rilascio ex art. 665 e disponeva il mutamento del rito a norma degli artt. 667 e 426 c.p.c.. Al procedimento originario venivano poi riunite tre opposizioni a decreto ingiuntivo, tutte proposte dal locatore N.N. nei confronti della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C., e relative al pagamento dell’indennità di avviamento commerciale, ed alla restituzione del deposito cauzionale e delle spese di registrazione.
Espletata CTU, la causa è stata poi decisa all’udienza del 2 ottobre 2009 mediante lettura del dispositivo.
Non è configurabile la morosità della conduttrice con riferimento ad inadempimenti nel pagamento del canone che si assumono verificatisi (gennaio e febbraio 2004) successivamente all’intervenuta scadenza del contratto (31 dicembre 2003), la cui rinnovazione era stata impedita da tempestiva disdetta, atteso che il conduttore, rimasto nella detenzione dell’immobile dopo la cessazione del contratto è tenuto al pagamento, da tale momento, dell’indennità di occupazione ai sensi dell’art. 1591 c.c., e non già del canone. La domanda di pagamento del corrispettivo e delle spese accessorie conseguenti alla occupazione dell’immobile successiva alla estinzione del contratto per finita locazione ha ad oggetto il risarcimento del danno derivante da responsabilità contrattuale del conduttore, che trova riferimento, quanto alla sua determinazione, in vari fattori e, fra essi, con preminente rilevanza, nell’ammontare del canone locativo.
Peraltro, in tema di locazione di immobili ad uso non abitativo e di loro scadenza per finita locazione, sino a quando non venga corrisposta l’indennità di avviamento o ne sia stata effettuata l’offerta reale, il conduttore ha diritto di mantenere la detenzione dell’immobile e di continuarne il godimento secondo contratto. Ciò comporta il venir meno della mora nella riconsegna del locale, e, conseguentemente, dell’obbligo ex art. 1591 c.c. di corrispondere a titolo di risarcimento – per il periodo di detenzione del provvedimento di rilascio o dalla scadenza del contratto al pagamento effettivo o all’offerta reale dell’indennità di avviamento – un compenso superiore al canone stabilito nel risolto contratto locativo, non sussistendo la detenzione illegittima. Va quindi accolta la domanda del locatore di condanna delle società conduttrice a corrispondere fino a marzo 2004 il canone convenuto (pari a complessivi euro 4.350,00), quale liquidazione forfettaria del danno, collegata all’utilità conseguibile dalla conduttrice rimasta nella detenzione della cosa locata, senza necessità di prova alcuna da parte del locatore. E’ rimasta del tutto priva di prova l’eccezione di compensazione volontaria che si assume operata fra le parti in ordine ai crediti per l’occupazione fino a marzo 2004 coi controcrediti della conduttrice per l’indennità di avviamento e per la restituzione del deposito cauzionale. Sulla somma accordata ex art. 1591 c.c. non devono riconoscersi interessi moratori, avendo la società intimata offerto informalmente il pagamento del relativo importo a mezzo di vaglia postali rifiutati dal N.N. (cfr. verbale d’udienza 12 marzo 2004 e relativa documentazione).
Sono ammissibili le domande riconvenzionali proposte dalla SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. già nella comparsa di costituzione in fase sommaria per l’udienza di convalida. Infatti, nel procedimento per convalida di sfratto, nel quale sia stata proposta opposizione, il momento di preclusione della proposizione della domanda riconvenzionale dell’intimato deve identificarsi non con il deposito della comparsa di risposta ai sensi dell’art. 660, comma 5, c.p.c., ma con il deposito della memoria integrativa successiva all’ordinanza ex art. 426 c.p.c. dispositiva della prosecuzione del giudizio secondo le regole della cognizione piena. Ne consegue che la riconvenzionale ben può essere proposta dall’intimato con detta memoria (così, da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 30 giugno 2005, n. 13963; contra, Cassazione civile, sez. lav., 29 giugno 1981, n. 4241). In tale ultimo caso, il convenuto, nel formulare la domanda riconvenzionale, deva richiedere, ai sensi dell’art. 418 comma 1 c.p.c., che il giudice adito fissi una nuova udienza di discussione. Laddove invece l’intimato avanzi la riconvenzionale sin dalla comparsa di opposizione (come avvenuto nel presente giudizio), deve ritenersi che l’udienza di discussione, fissata in sede di trasformazione del rito a norma dell’art. 426 c.p.c., consenta già di realizzare le esigenze, sottese alla richiesta del convenuto, volte ad assicurare la regolarità del contraddittorio e la possibilità per l’attore di svolgere le proprie difese.
Sulla domanda riconvenzionale per gli aumenti illegittimi di canone proposta dalla SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C., si osserva come il principio generale tratto dalla vigente normativa, contenuta nella l. 27 luglio 1978, n. 392, è quello della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo. Tale principio trova deroga nell’art. 32, l. 27 luglio 1978, n. 392 (come applicabile prima delle modifiche introdotte dall’articolo 41, comma 16-duodecies, del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207), con riguardo alle clausole di aggiornamento annuale del canone correlate al potere di acquisto della moneta. In sostanza, il legislatore, con l’art. 32, co. 2°, l. n. 392/1978, – come sostituito dall’art. 1, d. l. 7 febbraio 1985, n. 12, convertito, con modificazioni, nella l. 5 aprile 1985, n. 118 – ha limitato l’autonomia contrattuale in relazione all’aggiornamento del canone, sicché si perseguono con la nullità, di cui all’art. 79, l. n. 392/1978, le clausole che stabiliscano aumenti di canone, nel corso del rapporto, in misura superiore al 75% dell’indice dei prezzi Istat al consumo per le famiglie di operai e impiegati, in quanto dirette ad attribuire al locatore un corrispettivo più elevato rispetto a quello previsto dalla legge; né mai il conduttore può, nel corso del rapporto, come in sede di conclusione del contratto, rinunziare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. D’altro canto, a fronte di rapporti locativi che hanno di regola una durata minima di dodici (o diciotto) anni, sembra inevitabile che il legislatore si sia preoccupato di preservare la corrispettività del canone, consentendone l’aggiornamento, sia pure non come effetto legale, ma unicamente in forza di apposita convenzione pattuita dalle parti. Si richiede, pertanto, una specifica clausola di aggiornamento della misura del canone, eventualmente contenuta anche in un patto posteriore alla formazione del contratto di locazione, non dovendo necessariamente assumere forma coeva alla stipulazione dell’originario accordo .
La disposizione dell’art. 32 cit. non è, peraltro, suscettibile di applicazione analogica alle altre clausole contrattuali volte ad incrementare il valore reale del canone per diverse e successive frazioni del medesimo rapporto, da ritenere pertanto valide, salvo che non rappresentino un concreto mezzo per eludere il limite quantitativo posto dalla stessa norma indicata. Sono allora ritenute legittime le clausole con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, sempre però che essa sia ancorata a specifici elementi idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma negoziale in modo del tutto indipendente dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta, ovvero con giustificata riduzione del canone per un limitato periodo iniziale. Si reputa per contro nulla, ai sensi del combinato degli artt. 32 e 79 l. n. 392/1978, la clausola con la quale le parti abbiano convenuto l’automaticità dell’aggiornamento annuale del canone, senza la necessità di specifica richiesta del locatore riferita all’intervenuta variazione ISTAT, intendendo questa integrata dalla volontà al riguardo già espressa anticipatamente dallo stesso locatore. Soltanto de iure condendo, potrebbe osservarsi come, in un’ottica di economicità aziendale, il conduttore operatore economico potrebbe ritenere lui stesso conveniente modulare l’entità del canone di locazione, avendo a parametro i “percorsi evolutivi” dell’ambiente rilevante per la sua attività, nonché gli elementi utili per apprezzare il significato e il valore della sua performance economica. La possibilità di adeguare il canone, nel corso della lunga durata stabilita dagli artt. 27, 28 e 29, l. n. 392, consentirebbe di flettere il rapporto locativo rispetto alle sollecitazioni dovute alle strategie aziendali del conduttore, in particolare alla sua strategia di portafoglio (ovvero, le iniziative e gli affari in cui il conduttore è impegnato) ed alla sua strategia competitiva (ovvero, le scelte fondamentali di ricerca e sviluppo, di produzione e di marketing). La liceità dei patti di aumento del canone, in sostanza, permetterebbe al conduttore-soggetto produttivo di ricomprendere permanentemente la locazione in atto nell’ambito delle scelte e delle decisioni volte a mantenere o migliorare i risultati economici e competitivi, e soprattutto assicurerebbe la costante rimunerazione a condizioni di mercato del locatore, il che rappresenta la più affidabile garanzia di stabilità e durevolezza del rapporto.
Nel caso in esame, la scrittura contrattuale prevedeva un incremento di lire 100.000 annue per i primi tre anni di rapporto e poi dal quarto anno un aumento operato in base all’indice ISTAT. Ora, per quanto detto, la libertà nella determinazione del canone delle locazioni commerciali, nei limiti di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 32, comporta anche il diritto di predeterminare l’importo del canone in misura variabile, e se del caso crescente, di anno in anno, purché ciò avvenga in sede di conclusione del contratto; non per effetto di nuovi accordi stipulati nel corso del rapporto, allorché la posizione del conduttore è indubbiamente più debole rispetto a quella del locatore, a causa degli oneri e delle diseconomie normalmente inerenti all’esigenza di spostare la sede dell’attività (per effetto di un’eventuale, incombente disdetta, o per altro). Ed invero, la legge presuppone che nelle locazioni ad uso non abitativo non operino, quanto meno all’atto della conclusione del contratto, le esigenze di tutela del conduttore che sole giustificano l’imposizione di limiti alla facoltà del proprietario di richiedere il canone ritenuto più remunerativo. E ciò trova spiegazione nel fatto che la situazione del mercato in questo settore, e la natura commerciale o professionale degli interessi perseguiti dal conduttore, fanno sì che le parti si vengano a trovare in posizione di sufficiente parità di forze e siano entrambe in grado di difendere adeguatamente i propri interessi, scegliendo liberamente se concludere o non concludere il contratto, in relazione ai sacrifici ed ai vantaggi che ne conseguono. Né vi sono indicazioni normative o principi di logica interpretativa che inducano a ritenere che una tale libertà di contrattazione sia limitata alla fissazione del canone relativo al primo anno di durata del rapporto, impedendo di pattuirne la variazione, ed in particolare l’aumento, per gli anni successivi (salvo l’adeguamento Istat). La limitazione risulterebbe priva di giustificazione, ove si consideri che il locatore avrebbe potuto chiedere fin dall’inizio il canone massimo (nella specie, quello fissato per il terzo anno di durata del rapporto) e che non v’è ragione di ritenergli precluso di chiedere, per gli anni successivi al primo, la stessa somma che potrebbe chiedere immediatamente. E’ comunque decisivo il fatto che la L. n. 392 del 1978, art. 32 sull’equo canone non impone affatto la limitazione agli aumenti del canone, nei termini prospettati dalla società conduttrice. Nel consentire infatti l’aggiornamento del canone solo nella misura corrispondente al 75% degli incrementi dell’indice dei prezzi al consumo, si riferisce appunto solo all’aggiornamento legato alle variazioni del potere di acquisto della moneta ed, atteso il suo carattere eccezionale, non può essere estesa per via di interpretazione analogica al di fuori del predetto settore e con riferimento ad altre clausole contrattuali che, conformemente alla comune volontà delle parti, siano volte ad incrementare il corrispettivo della locazione in relazione ad eventi diversi dalla svalutazione monetaria (Cassazione civile , sez. III, 05 marzo 2009, n. 5349).
Di tal che, all’atto dell’accordo iniziale, la pattuizione per le locazioni ad uso non abitativo di un canone variabile, ed anche crescente, di anno in anno, è da ritenere legittima (cfr, Cass. Civ., Sez. 3^, 23 febbraio 2007 n. 4210; Cass. Civ., Sez. 3^, 24 agosto 2007 n. 17964; Cass. Civ. 8 maggio 2006 n. 10500, che eccettuano i casi in cui la pattuizione costituisca un mero espediente per eludere le norme della L. n. 392 del 1978, art. 32 circa l’adeguamento del canone nel corso del rapporto).
Circa la seconda riconvenzionale proposta dalla società conduttrice, è noto come l’obbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale, previsto dall’art. 11 (e 41), legge n. 392 del 1978, abbia natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, tutelando il contraente più debole ed impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un surrettizio incremento del corrispettivo della locazione, e, conseguentemente, sono nulle le clausole contrattuali che stabiliscono una disciplina della restituzione difforme da quella contenuta in detta norma, quale quella pattuita fra le parti di questo giudizio. Ciò comporta, alla stregua delle risultanze della CTU, la condanna di N.N. al pagamento della somma di euro 1.537,75 in favore della società attrice in riconvenzionale.
L’attore, nella memoria integrativa ex art. 426 c.p.c del 31 maggio 2004, ha formulato anche domanda risarcitoria per i danni cagionati dalle alterazioni strutturali e dall’omessa manutenzione dell’immobile imputabili alla società conduttrice. Al riguardo, il Tribunale ritiene che siano ammissibili le domande formulate dal locatore intimante, come le riconvenzionali proposte dal conduttore intimato, nella memoria integrativa tempestivamente depositata in occasione del passaggio del procedimento di sfratto dalla fase sommaria a quella ordinaria, ex art. 667 e 426 c.p.c. E’ vero che nel rito del lavoro la disciplina della fase introduttiva del giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, sicché non solo non è consentita la proposizione di alcuna domanda nuova, ma non è permessa neanche la formulazione di una emendatio, se non nelle forme e nei termini previsti, come si desume dall’art. 420, comma 1, c.p.c., secondo il quale le parti possono modificare le domande solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice. Deve considerarsi, tuttavia, inammissibile qualsiasi modificazione della domanda che non sia stata operata – con riferimento al giudizio locatizio a cognizione piena conseguente al superamento della fase speciale del procedimento per convalida – ai sensi dell’art. 426 c.p.c., attraverso l’integrazione dell’atto introduttivo, nel termine perentorio fissato dal giudice, e che non sia stata autorizzata a norma del citato art. 420 c.p.c., all’udienza di discussione. Solo quindi dopo l’esaurimento della fase sommaria conseguente all’adozione dell’ordinanza ex artt. 667 e 426 c.pc. è corretto frapporre le regole di immodificabilità delle iniziali domande delle parti.
Inoltre, pare fondamentale in via preliminare chiarire quale sia il fatto costitutivo contrattuale della domanda di risarcimento del danno per inadempimento, siccome formulata dal N.N.. Va detto infatti che l’art. 414 n. 4 c.p.c. (richiamato dall’art. 447 bis ) indica come requisito essenziale dell’atto introduttivo del giudizio “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda”. Si ha del resto qui riguardo a diritti di credito, dunque a diritti eterodeterminati, per l’individuazione dei quali è cioè necessario fare riferimento ai fatti costitutivi della pretesa che identificano diverse causae petendi. Il ricorrente ha dedotto in domanda che l’immobile per cui è causa fosse condotto in locazione ad suo diverso con contratto del gennaio 1992.
E’ dunque soltanto il contratto del gennaio 1992 che è stato posto a base dei diritti e degli obblighi dedotti nel presente giudizio.
Non è dunque ammissibile che l’attore deduca successivamente che il rapporto locativo de quo abbia avuto inizio già nel 1970, o nel 1986, in forza di contratti peraltro del tutto diversi, anche soggettivamente. E’ piuttosto decisiva la constatazione di carattere processuale relativa alla esplicitazione della causa petendi su cui si fondava la iniziale domanda del N.N., essendo basata su elementi e circostanze non prospettati in precedenza la domanda che, a dispetto di quanto dedotto in intimazione, si considerasse unitario il rapporto locativo, in quanto avente origine nel contratto del 28 dicembre 1970, o del 17 gennaio 1986.
Venendo quindi al merito, attinente al ripristino dell’immobile locato, l’individuazione dei danni reclamati dall’attore e della responsabilità per il deterioramento della cosa locata, come la ricostruzione del nesso di causalità materiale e giuridico tra condotta della convenuta e conseguenze dannose, può poggiare sulle conclusioni raggiunte nella consulenza tecnica compiuta in corso di causa. Tali ultime conclusioni sono condivise dal Tribunale, e perciò inducono coerentemente alla formazione del convincimento sul punto da decidere. La relazione tecnica, compreso l’allegato di chiarimenti, ha infatti consentito l’accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni scientifiche.
Stando alla descrizione dei luoghi operata in sede di consulenza, è risultato in primis impossibile ricostruire la consistenza esatta dei locali all’atto della consegna nel gennaio 1992 (cfr. pagina 94 della Relazione di CTU) . Il CTU ha operato così un raffronto con un verbale di stato dei luoghi del 1 novembre 1970, risalente alla prima locazione dei locali, nonché con una planimetria catastale del 1959. Dal documentato riscontro più recente dei luoghi di causa all’inizio del rapporto locativo dedotto in lite decorrono in pratica oltre vent’anni. Rileva l’ausiliare la mancanza di un wc rispetto alla descrizione dell’immobile del 1970 e la realizzazione di un soppalco con struttura in acciaio. Sono riscontrate inoltre irregolarità nella pavimentazione (pagina 46); danneggiamenti delle pareti e della loro pitturazione. Non hanno ovviamente rilievo in questo giudizio le modifiche apportate all’immobile locato in epoca antecedente al 1992, non potendosi certo valutare esse in relazione agli obblighi nascenti dal contratto dedotto in lite.
In via di principio, si riscontra un abuso nel godimento della cosa locata nelle sole modificazioni dello stato di fatto che immutino la natura e la destinazione del bene, valutate alla stregua dell’interesse del locatore, il quale ha diritto a non vedere pregiudicato in suo danno l’equilibrio giuridico – economico dell’accordo, come anche alla conservazione della res, con il suo status di liceità urbanistica, le sue caratteristiche catastali, le sue strutture originarie e il suo uso assentito. E’ invece facoltà del conduttore apportare alla cosa locata quelle migliorie od innovazioni che non ne mutino la natura e la destinazione pattuita, trovando applicazione, in questo caso, la disciplina delle migliorie e delle addizioni, di cui agli art. 1592 e 1593 c.c. (Cass. 26 luglio 2002, n. 11055; Cass. 10 settembre 1999, n. 9622; Cass. 1 agosto 1995, n. 8385; Cass. 28 ottobre 1993, n. 10735; Cass. 23 marzo 1992 n. 3586; Cass. 8 novembre 1996, n. 9744).
D’altro canto, l’obbligo del conduttore di osservare nell’uso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, ex art. 1587 n. 1 c.c., è sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall’altro obbligo, sancito dall’art. 1590 c.c., di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello stesso stato in cui è stata consegnata. Di tal che il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo l’osservanza dell’obbligazione di cui all’art. 1587 n. 1, e di agire nei confronti del conduttore inadempiente sia per la risoluzione del contratto, sia per la riduzione in pristino o l’esecuzione delle necessarie opere di manutenzione, ed in ogni caso per il risarcimento dei danni, senza necessità di attendere la cessazione.
Come detto, l’individuazione dell’inadempimento reclamato dall’attore quale abuso della cosa locata, in relazione alle innovazioni dedotte in causa, può avvenire sulla scorta delle conclusioni raggiunte nella relazione di consulenza tecnica compiuta nel corso della causa. Trattasi all’evidenza di tipo di giudizio in cui la consulenza tecnica (che normalmente non è mezzo di prova, ma mezzo di valutazione, sotto il profilo tecnico-scientifico, di dati già acquisiti) finisce per costituire essa stessa un mezzo di prova, supplendo all’ispezione giudiziale, che dovrebbe eseguirsi con la necessaria assistenza di un consulente per rilevare la consistenza e le caratteristiche tecniche di opere edilizie.
Allora, le modificazioni che si assumono attuate dalla società conduttrice (pur con le difficoltà probatorie evidenziate), quale la realizzazione di un soppalco, o l’eliminazione di un wc e di tramezzature, non risultano aver comunque immutato la natura e la destinazione della cosa locata, in rapporto all’interesse del locatore alla conservazione dell’immobile nello stato originario, costituendo al più innovazioni eliminabili senza nocumento al termine del contratto.
Come si diceva, l’art. 1590 c.c. obbliga il conduttore a restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto, o dovuto a vetustà; in difetto di descrizione si presume iuris tantum che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione. Si ratta di obbligo, di natura contrattuale, che diviene attuale alla scadenza del contratto, o al momento dell’eventuale scioglimento anticipato, ed è per il locatore tutelato dal diritto al risarcimento del danno da inesatta riconsegna con riguardo alle spese per le riparazioni ed alle perdite subite per le ritardata disponibilità del bene, quest’ultima sempre lesiva del patrimonio del locatore (arg. ex art. 1591 c.c.; Cass. 2 marzo 1995 n. 2445). Salve diverse disposizioni contenute nel contratto di locazione, l’art. 1590 c.c. contiene in effetti un sistema di regole legali che modulano l’obbligazione di riconsegna della cosa locata. Si osserva in proposito che, per la delimitazione del deterioramento conseguente all’uso della cosa, va fatto ricorso ad un criterio di normalità della deminutio. Con ciò si vuol dire che il godimento, valutato socialmente, e cioè tipicamente, “normale” della cosa locata, comporta un danneggiamento oggettivo minimo, non imputabile al conduttore. D’altra parte, viene notato, il locatore riceve un corrispettivo per il godimento che cede, e non potrebbe ragionevolmente pretendere la restituzione della cosa locata come se non fosse stata locata, o meglio, come se non fosse stata goduta dal conduttore. A norma dell’art. 1587 c.c., il conduttore prende in consegna la cosa e se ne serve con la diligenza del buon padre di famiglia, per l’uso determinato nel contratto o presumibile dalla circostanze. Egli è tenuto a conservare la res, ed a prestare gli accorgimenti opportuni per impedirne il danneggiamento. Deve servirsi della cosa secondo l’uso pattuito: gli è perciò vietato di usare diversamente la cosa, ovvero di effettuare innovazioni e trasformazioni della struttura, installando attrezzature che mutino la destinazione del bene rispetto al convenuto uso abitativo. Il conduttore, di conseguenza, risponde della perdita o del deterioramento in corso di locazione, se non provi che i fatti si sono verificati per causa a lui non imputabile; trattasi infatti di responsabilità contrattuale, costruita secondo la regola generale della responsabilità del debitore ex art. 1218, sicché sarà il conduttore, per liberarsene, a dover provare positivamente una causa efficiente dell’evento pregiudizievole, ovvero a provare che manca un nesso di causalità tra il deterioramento e l’azione o omissione a lui imputabile. Peraltro, ai sensi del 2° comma dell’art. 1588 c.c., il conduttore è personalmente responsabile del fatto di ogni terzo che si trovi in relazione d’uso della cosa, per esservi stato da lui ammesso.
In definitiva, la responsabilità del conduttore ex art. 1590 c.c. per il deterioramento della cosa locata (alterazioni dei profili strutturali, funzionali o di decoro dell’immobile), verificatosi nel corso della locazione, ripete la propria disciplina dall’art. 1588 c.c., che pone a carico del conduttore l’incidenza della colpa presunta; tale responsabilità si attiva solo oltrepassati i limiti contrattuali di destinazione e godimento della cosa.
Nel caso in esame, non è stata raggiunta alcuna prova sufficiente di una difformità fra le condizioni in cui l’immobile era stato locato alla conduttrice SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. nel 1992 e le condizioni in cui il medesimo versava all’atto della riconsegna nel 2004, difformità imputabile all’uso improprio del bene.
D’altro canto:
a) la riparazione degli infissi esterni, delle persiane o delle porte di ingresso dell’immobile locato non rientra tra quelle di piccola manutenzione che l’art. 1576 c.c. pone a carico del conduttore, perché i danni riportati da essi, a meno che non siano dipendenti da uso anormale dell’immobile (qui del tutto indimostrato), debbono piuttosto presumersi dovuti a caso fortuito o a vetustà e debbono essere, conseguentemente, riparati dal locatore che, a norma dell’art. 1575 c.c., ha l’obbligo di mantenere la cosa locata in stato da servire per l’uso convenuto;
b) parimenti, rientrano nel normale degrado d’uso le macchie presenti sulle pareti e sui soffitti dell’immobile, dovute a fenomeni di infiltrazioni;
c) né rientrano tra le riparazioni di piccola manutenzione a carico dell’inquilino a norma dell’art. 1609 c.c. quelle relative agli impianti interni alla struttura del fabbricato, atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, gli eventuali guasti non dipendenti da colpa dell’inquilino per un uso anormale della cosa locata, devono essere sempre imputati a caso fortuito od a vetustà, gravando, pertanto, la spesa per le relative riparazioni sul locatore;
d) estranee all’ambito delle riparazioni di piccola manutenzione a carico dell’inquilino a norma dell’art. 1609 c.c. sono pure le spese relative al rifacimento del pavimento, dovendosi ritenere che il dissesto parziale della pavimentazione, e la conseguente necessità di sua sostituzione, all’interno di un locale adibito per ben dodici anni all’esercizio di una rivendita di materiale e macchine per lavorazioni meccaniche ed impiantistica, non dipendano da colpa dell’inquilino per un uso anormale della cosa locata, e vadano piuttosto imputati a scontata vetustà
Neppure risultano risarcibili danni ulteriori. Invero, l’obbligazione di restituire la cosa locata non ha carattere sinallagmatico, ma consegue alla natura propria della locazione che è contratto a termine; essa nasce alla scadenza della locazione ed ha natura contrattuale, derivando dal contratto locativo. Corrispondentemente, come visto, ha natura contrattuale la responsabilità per la ritardata riconsegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto all’uso. Tale responsabilità si estende ai danni che sono casualmente collegati alla condotta del conduttore con esclusione di quelli riconducibili unicamente alla condotta del locatore. E’, pertanto, responsabile del danno consistente nella perdita di vantaggiose occasioni di vendita della cosa locata o nella risoluzione del contratto di vendita di essa il conduttore che, ritardando la riconsegna della cosa o riconsegnandola trasformata o deteriorata, ponga in essere le condizioni della perdita delle occasioni o della risoluzione della vendita.
Non può qui sostenersi che la indimostrata trasgressione da parte della conduttrice rispetto all’obbligo di preservare la natura e la destinazione della cosa locata, e quindi di lasciare l’immobile nello stato originario, fosse stata poi causa reale della perdita di occasione di stipulare nuovi contratti di locazione
Le ragioni esposte argomentano altresì il rigetto delle opposizioni proposte dal N.N. avverso i decreti ingiuntivi n.758/2004 e n. 759/ 2004.
Va premesso in rito come le opposizioni in esame, in quanto concernenti ingiunzioni di pagamento di somme derivanti dall’adempimento di obblighi riconducibili ad un contratto di locazione immobiliare, andavano proposta con ricorso da depositare in cancelleria entro il termine previsto dall’art. 641 c.p.c.. (arg. da Corte costituzionale, 27 luglio 2007, n. 334). Non si reputa neppure necessario che il decreto ingiuntivo pronunciato nelle materie di cui all’art. 447 bis c.p.c. debba indicare all’ingiunto quali siano le modalità attraverso le quali proporre opposizione (Corte costituzionale 24 maggio 2000, ord. n. 152, in Foro it. 2001, I, 813).
Superate le eccezioni del N.N. di risoluzione per inadempimento e rigettate le sue riconvenzionali, per le motivazioni esposte a sostegno delle domande proposte nel procedimento n. 966/2004, risulta fondata:
1) la pretesa della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. di vedersi restituito il deposito cauzionale. Invero, l’obbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore, a garanzia degli obblighi contrattuali, sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dell’immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l’attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione ha per oggetto un credito liquido ed eseguibile, che legittima il conduttore ad ottenere decreto ingiuntivo. In tal caso i diritti del locatore potranno però essere fatti comunque valere in sede di opposizione all’ingiunzione (così Cassazione civile, sez. III, 9 novembre 1989 n. 4725). Più precisamente, l’obbligo di restituire il deposito cauzionale è correlato alla verifica della condizione che il conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, giacché, diversamente, assume rilievo la funzione specifica del deposito, che è quella appunto di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del conduttore. Vale allora a riconoscere l’esigibilità del credito di restituzione del deposito cauzionale il fatto che risulti ormai provato che la conduttrice abbia adempiuto alle proprie obbligazioni;
2) il diritto del conduttore di un immobile locato per uso non abitativo all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale compete indipendentemente dalla prova in concreto dell’avviamento e della perdita, avendo il legislatore stabilito l’obbligo di corresponsione dell’indennità al conduttore con una valutazione fondata sull’id quod plerumque accidit. Ai fini quindi dell’attribuzione dell’indennità per la perdita dell’avviamento (che il locatore di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione è tenuto a corrispondere al conduttore in forza degli art. 34 e 35 l. 27 luglio 1978 n. 392) è sufficiente la cessazione del rapporto a causa del recesso del locatore, restando quindi irrilevante la circostanza che il conduttore estromesso abbia cessato ogni attività prima o dopo il rilascio dell’immobile. Peraltro, la norma di cui all’art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell’onere della prova in giudizio, trova regolare applicazione in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell’indennità di avviamento in favore del conduttore, nel senso che a quest’ultimo (che rivesta la qualità di attore) spetta comunque il compito di provare non solo di aver esercitato nell’immobile una delle attività per le quali l’indennità è prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. In tal senso, deve comunque ritenersi che la SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE abbia ben provato il presupposto per la spettanza dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, e cioè che l’immobile di via S.B. fosse utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalità originariamente indifferenziata dei destinatari ultimi dell’offerta dei beni o dei servizi . D’altro canto, giacché la utilizzazione dell’immobile per un’attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori deriva, nel caso di specie, dalla stessa fissata destinazione primaria contrattuale dell’immobile, il conduttore, per conseguire la liquidazione dell’indennità di avviamento ex art. 34 e 69 legge n. 392 del 1978, non aveva in realtà neppure l’onere di provare la suddetta circostanza (ovvero, rectius, è da intendersi che ciò abbia già provato mediante l’allegazione documentale), incombendo viceversa al locatore, che intenda eccepire una diversa destinazione effettiva dell’immobile, l’onere di provare tale fatto impeditivo della pretesa del conduttore, ai sensi dell’art. 2697, comma 2 c.c. (così Cassazione civile , sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11405; arg. pure da Cassazione civile , sez. III, 16 maggio 2005, n. 10187).
Essendo l’ultimo canone corrisposto pari ad euro 1.450,00, l’indennità per la perdita dell’avviamento si determina ex art. 34, l. n. 392/1978 in euro 26.100,10, come consacrato nel decreto ingiuntivo n. 758/2004.
Va invece accolta l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 757/2004. A base di questa ingiunzione, la conduttrice assumeva di aver sostenuto sempre per intero le spese di registrazione del contratto, in forza della clausola n. 11 del contratto di locazione, da ritenersi nulla per contrasto con norma inderogabile.
Ed invece, con riguardo alla registrazione dei contratti di locazione, né l’art. 8 della legge n. 392 del 1978, né l’art. 10 della legge di registro (d.P.R. n. 634 del 1972) stabiliscono quale delle parti debba provvedervi, disciplinando, rispettivamente, la ripartizione delle relative spese, in misura uguale fra entrambi i contraenti, ed il loro obbligo solidale verso il fisco di richiedere la registrazione stessa, con la conseguenza che possa ritenersi lecita (senza contrasto alcuno con l’art. 79, l. n. 392/1978) una specifica pattuizione contrattuale secondo cui alla registrazione debba provvedere per intero il conduttore, ovvero il locatore con diritto di rivalsa nei confronti del conduttore).
In ragione della reciproca soccombenza, del limitato accoglimento delle molteplici domande proposte dalle parti, della pluralità delle questioni di fatto e di diritto sollevate dalle rispettive difese a fronte di un contenzioso attinente a pretese economicamente di valore non considerevole, e quindi tenuto complessivamente conto del comportamento processuale osservato dai contendenti, sussistono giusti motivi per compensare per intero tutte le spese sostenute nei procedimenti riuniti.
P.Q.M.
Il Tribunale di SALERNO I sezione civile, definitivamente pronunziando sulle domande proposte da N.N. nei confronti della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C., sulle domande riconvenzionali proposte dalla SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. e sulle opposizioni a decreto ingiuntivo proposte da N.N. nei confronti della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C.
accoglie la domanda ex art. 1591 c.c. proposta da N.N. e condanna la SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. al pagamento in favore di N.N. della somma di euro 4.350,00;
rigetta la domanda di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni proposta da N.N.;
accoglie la domanda riconvenzionale per la corresponsione agli interessi sul deposito cauzionale proposta dalla SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C.e condanna N.N. al pagamento in favore della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. della somma di euro 1.537,75, oltre interessi legali dalla domanda;
rigetta la domanda riconvenzionale per la restituzione dei canoni illegittimi proposta dalla SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C.;
rigetta le opposizioni ai decreti ingiuntivi nn. n.758/2004 e n. 759/ 2004 proposte da N.N. nei confronti della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C.;
accoglie l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 757/ 2004 proposta da N.N. nei confronti della SOCIETA’ MOTORI E MACCHINE SORIENTE DI PASTORE A. E SANTORO F. S.N.C. e revoca il decreto ingiuntivo opposto;
compensa per intero tra le parti le spese processuali sostenute in tutti i procedimenti riuniti.
SALERNO, depositata 2 ottobre 2009
Il Giudice dott. A.S.