Cassazione Civile, Sezione III, Sentenza 5 gennaio 2005 n. 165
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Paolo VITTORIA – Presidente - Dott. Renato PERCONTE LICATESE – Consigliere - Dott. Michele LO PIANO […]
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Paolo VITTORIA – Presidente -
Dott. Renato PERCONTE LICATESE – Consigliere -
Dott. Michele LO PIANO – Consigliere -
Dott. Giovanni Battista PETTI – Consigliere -
Dott. Antonio SEGRETO – Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.P., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA VIA LUCREZIO CARO 62,presso lo studio dell’avvocato FIORAVANTE CARLETTI, che li difende unitamente all’avvocato SERGIO LOMBARDI, giusta delega in atti;
- RICORRENTI -
CONTRO
CMC DI C.L. & C SNC;
- INTIMATO -
e sul 2° ricorso n° 26245/01 proposto da:
CMC DI C.L. & C SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato SERGIO CERSOSIMO, che lo difende
unitamente all’avvocato PIER LUCA NELA, giusta delega in atti;
- CONTRORICORRENTE E RICORRENTE INCIDENTALE -
NONCHÉ CONTRO
C.P., C.G.;
- INTIMATI -
avverso la sentenza n. 90/01 del Tribunale di ASTI, Sezione Civile,emessa il 14 febbraio 2001, depositata il 16/02/01; RG.125/99.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del04/11/04 dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;
udito l’Avvocato Sergio Lombardo;
udito l’Avvocato Lucio Laurito Longo (per delega avv. Sergio Cersosimo);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.Carlo DESTRO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
Fatto
Con atto del 28.6.1995 P. e G.C., comproprietari del 50% dei silos granari presso il Molino C. in Piovà Massaia, intimavano licenza per finita locazione alla s.n.c. CMC di C.L., relativamente alla propria quota di comproprietà, locata a detta società con contratto del 10.10.1983, chiedendo il rilascio dell’immobile.
Si costituiva la società convenuta, che resisteva alla domanda, assumendo tra l’altro che aveva locato dall’altro comproprietario, C.L. il 30.3.1982, la restante metà dell’immobile.
Il Pretore di Asti, dopo il mutamento di rito, con sentenza n. 23 del 1998, rigettava la domanda.
Proponevano appello gli attori.
Si costituiva la CMC e resisteva all’appello.
Il tribunale di Asti, con sentenza depositata il 16.2.2001, rigettava l’appello.
Riteneva il tribunale che, a norma dell’art. 1105 c.c., ove non fosse raggiunta la maggioranza dei comproprietari, calcolata in base al valore delle quote, nessuno di essi poteva porre in essere azioni giudiziarie, se risultava l’espressa volontà contraria degli altri partecipanti alla comunione; che nella fattispecie era risultata in primo grado la contrarietà del comproprietario L.C. all’azione proposta dagli attori; che nella fattispecie non era rilevante né era stato provato un eventuale conflitto di interesse di C.L., che non era neppure parte in causa in proprio. Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione gli attori.
Resiste con controricorso la convenuta, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Diritto
1.Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi.
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la falsa applicazione dell’art. 1103 c.c., in relazione all’art. 1105 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.
Ritengono i ricorrenti che la controversia in questione, attenendo ad un rapporto obbligatorio relativo alla sola quota di proprietà di essi attori, era sottoposta alla normativa di cui all’art. 1103 c.c. e non a quella di cui all’art. 1105 c.c., che regola i diritti aventi natura reale tra soggetti titolari di un bene.
Pertanto, secondo i ricorrenti, erratamente la sentenza impugnata ha rigettato la loro domanda per mancanza di maggioranza ex art. 1105 c.c..
2. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1103 c.c., in relazione agli artt. 1105 e 1597 c.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c..
Ritengono i ricorrenti che la sentenza impugnata non ha considerato che nella fattispecie si trattava di locazione di quota di bene comune e che conseguentemente essa trovava regolamentazione nel disposto dell’art. 1103 c.c., secondo cui ogni comproprietario può disporre della propria quota.
3.1.Ritiene questa Corte che i due motivi di ricorso, essendo strettamente connessi, vadano esaminati congiuntamente.
Essi vanno accolti per quanto di ragione.
Premesso che è pacifico in punto di fatto che gli attori concessero in locazione con il contratto del 1983 la quota del 50% dell’immobile in questione (negli stessi termini in cui erano comproprietari) alla CMC, che già era conduttrice della restante quota del 50% per effetto del contratto di locazione stipulato nel 1982 con l’altro comproprietario C. ed essendo pacifico che gli attori hanno agito per sentire dichiarare cessata per scadenza del termine solo la locazione da loro stipulata, ne consegue che la fattispecie non ha alcuna attinenza con la normativa di cui all’art. 1105 c.c.. Ciò non perché, come erratamente sostenuto dai ricorrenti, detta norma riguarderebbe solo i diritti reali e non i rapporti obbligatori, quali quelli emergenti da un contratto di locazione, ma perché la norma di cui all’art. 1105 c.c. attiene all’amministrazione dell’intera cosa comune e non gli atti dispositivi o di gestione della quota ideale di ciascun comproprietario.
3.2.Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile in comunione e che un condomino diverso da quello che ha assunto la veste di locatore è legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso (senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purché non risulti l’espressa ed insuperabile volontà contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto consenso della maggioranza (Cass. 29/08/1995, n.9113; Cass. 19/04/1996, n.3725).
Si ritiene in giurisprudenza (con le critiche della dottrina che ritiene che il legislatore abbia disposto per l’amministrazione della cosa comune il concorso di tutti i comunisti e quindi un’amministrazione necessariamente congiunta) che ciascun comproprietario ha il potere di amministrazione della cosa comune, sulla base di un consenso tacito o di una presunzione di consenso o di un mandato presunto degli altri comunisti, talvolta sull’affermata esistenza di una reciproca rappresentanza.
Sta di fatto che la norma di cui all’art. 1105 c.c. regola esclusivamente il potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza.
3.3.La questione di diritto che viene all’esame consiste, nella specie, nel definire quale sia la sorte e la disciplina giuridica della locazione da parte di due comproprietari non dell’intero bene immobile in proprietà comune loro ed anche di altro soggetto, ma solo della locazione del bene nei termini della loro quota ideale (nella specie del 50%), concessa in godimento dietro corrispettivo ad un terzo, quando il conduttore, precedentemente a detto contratto di locazione di quota del bene, era già conduttore, sulla base di diverso ed autonomo contratto con l’altro comproprietario, della quota pari al residuo 50% del bene.
La soluzione del problema passa attraverso la questione dell’ammissibilità della locazione della quota di bene comune.
Quando il potere di disposizione sulla cosa appartiene a più soggetti nella forma della comunione in senso specifico ex art. 1100 c.c. (ovvero della titolarità solidale del bene, in virtù di rapporto obbligatorio che ne comporti la disponibilità, siccome specifica anche la dottrina), tutti possono, rinunciando al godimento diretto, concederla in locazione a terzi ed anche a taluno soltanto dei contitolari.
Allo stesso modo, il comproprietario può concedere in locazione la cosa comune anche nei limiti della propria quota ideale.
In tal senso appare decisamente orientata la prevalente dottrina, in base alla disposizione di cui all’art. 1103, 1^ comma c.c., che, appunto, prevede come ciascun comproprietario, oltre che l’uso diretto che può fare del bene comune, può cederne ad altri il godimento nei limiti della sua quota.
3.4.L’ostacolo che parte dalla dottrina ravvisava, per la locazione della quota, nella impossibilità dell’adempimento dell’obbligo della consegna, è stato, infatti, superato, nella considerazione che il conduttore, cui sia stato concesso il godimento della cosa comune nei limiti di una quota, entro detti limiti avrà la detenzione del bene insieme agli altri condomini possessori, essendosi al riguardo rilevato che il godimento del conduttore non deve necessariamente essere esclusivo, perché si resta sempre nell’ambito dello schema contrattuale della locazione quando l’uso della cosa locata sia parziale e debba concorrere con l’uso analogo che altri soggetti possono farne a titolo diverso.
D’altra parte, poiché è pacifica l’esistenza della condetenzione (nella specie titolata) di un bene, ciò rende possibile ritenere che possa concedersi al conduttore della quota il godimento non esclusivo del bene, ma solo nei limiti della quota.
Anche la giurisprudenza di legittimità, che pure in un lontanissimo suo precedente esprimeva un iniziale giudizio di inammissibilità della locazione della quota (Cass. 11.3.1942 n. 652), risulta senz’altro orientata per l’ammissibilità della locazione di quota, secondo una interpretazione risalente (Cass. 13.2.1951 n. 350; Cass. 29.5.1954 n. 1768; Cass. 9.5.1961 n. 1077), successivamente direttamente ovvero indirettamente confermata (Cass. 2.4.1965; Cass. 18.2.1972 n. 455; Cass. 22.5.1982 n. 3141; Cass. 2.8.1984 n. 4602; Cass. 20.7.1991 n. 8110; Cass. 28/09/2000, n.12870).
3.5.In coerenza con l’ammissibilità della locazione di quota di bene comune, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato in via generale, con riferimento all’acquisto da parte del conduttore della quota “pro indiviso” del bene locato, la concettuale compatibilità della contemporanea condizione di comproprietario e locatario del bene comune o di parte di esso (Cass. 23/06/1999, n.6405; Cass. n. 1077 del 1961; Cass. 4602 del 1984; Cass. 8110 del 1991).
3.6.Ne consegue che se il conduttore dell’intero bene, in effetti fondi il suo diritto di godimento, per il 50% sul contratto di locazione di una pari quota da parte di un comproprietario e per il restante 50% su un contratto di locazione della restante quota ideale di altri due comunisti, è evidente che i comproprietari locatori della seconda quota, per fare valere le azioni nascenti dal contratto di locazione, non debbano richiedere e ottenere il consenso anche del comproprietario primo locatore (della sola sua quota), non essendo nella specie applicabile la norma dell’art.1105 c.c..
La norma suddetta, secondo la quale tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune, non limita, infatti, l’autonomo potere di disposizione di ciascun partecipante alla comunione sulla sua quota ideale della cosa comune (art.1103 c.c.), per cui gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano solo il singolo titolare.
Nella ipotesi di specie il giudice di merito ha erratamente interpretato le suddette disposizioni di legge e, nella riconosciuta sussistenza della locazione della quota, ha giudicato, per il mancato consenso di C.L., non validamente esperita l’azione di risoluzione del contratto per intervenuta scadenza da parte degli attori locatori della propria quota del 50%, interessati a riottenere la disponibilità giuridica del bene nei limiti della quota di loro spettanza per poterne, mediante il godimento diretto ovvero indiretto, curare di nuovo la gestione.
4. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, comporta l’assorbimento del terzo motivo.
5.Con il ricorso incidentale condizionato la resistente CMC lamenta che l’impugnata sentenza non ha rilevato il difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. degli attori.
Assume la ricorrente incidentale che essa non ha mai disconosciuto che il termine della locazione con gli attori era scaduto, ma ha solo sostenuto che non poteva essere condannata al rilascio del bene, perché da lei goduto quanto alla metà ideale, sulla base di un contratto di locazione con C.L., altro comproprietario (nei limiti del restante 50%).
Secondo la ricorrente incidentale una pronuncia di mero accertamento della scadenza del contratto di locazione, non accompagnata da una condanna al rilascio del bene, sarebbe priva di interesse per gli attori.
6. Il motivo è infondato e va rigettato.
Esso si fonda sul presupposto, che, poiché essa conduttrice detiene legittimamente il residuo 50% del bene, non sarebbe possibile il rilascio solo di una quota ideale, per quanto richiesto dagli attori.
In effetti ritorna, questa volta in fase terminale del contratto, la ragione che parte della dottrina riteneva essere l’ostacolo iniziale alla locazione di quota ideale: cioè l’impossibilità di concedere (e quindi di restituire) in godimento solo una quota ideale del bene.
Sennonché una volta ammessa la possibilità della locazione di una quota del bene comune e quindi che il locatore possa adempiere al suo obbligo di consegnare al conduttore il bene (art. 1575, c.1), immettendolo nella condetenzione dello stesso, deve ritenersi logicamente possibile anche il percorso inverso e cioè che nella condetenzione del bene ritorni il locatore allo spirare del termine della locazione.
6.2.In questo senso non pare possa interamente condividersi – senza la puntualizzazione che segue – l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui in caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore, questo – avendo diritto al godimento dello stesso in proporzione della sua quota – non può essere condannato al rilascio del bene medesimo agli altri comproprietari, restando invece ai comunisti di disciplinare l’ordinaria amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei contitolari del bene delle sue facoltà di godimento e così eventualmente di ricorrere, in caso di persistente disaccordo, all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 1105, ultimo comma, c.c., per la nomina di un amministratore (Cass. 23/06/1999, n.6405; Cass. 20/07/1991, n.8110; Cass. 22.5.1982 n. 3143).
Se fosse condivisibile il principio suddetto, ovviamente esso sarebbe applicabile anche nel caso in cui il conduttore di una quota di un comunista è anche conduttore di altra quota di altro comunista e solo per la prima sia scaduto il termine o si sia risolto il contratto di locazione (come nella specie). Anche in questo caso il conduttore non potrebbe essere condannato al rilascio del bene, che egli condetiene legittimamente per effetto del contratto di locazione di quota, ancora in vita.
6.3.In effetti l’orientamento predetto compie un salto cronologico e logico: qui non si tratta di ordinare al conduttore di rilasciare il bene, ma la quota di bene, per il quale è scaduto il termine di locazione, reimmettendo nella condetenzione del bene (nei limiti della quota locata) il locatore, riconsegnando allo stesso quanto questi ha dato all’inizio della locazione (giusta l’obbligazione che grava sul conduttore: art. 1590 c.c.).
Solo allorché è avvenuta la restituzione della detenzione della quota ideale, e quindi sotto il profilo fattuale, è stata ripristinata la condetenzione del bene nel suo complesso, se sussiste disaccordo tra i contitolari del bene in merito all’amministrazione dello stesso è possibile esperire il rimedio di cui all’art. 1105, ult. c. c.c..
6.4.Questa Corte ha, in precedenti occasioni, ritenuto ammissibile la condanna al rilascio del bene comune, solo per una quota, la cui detenzione risulti non giustificata.
Infatti, con la sentenza 5.12.1990, n. 11691, è stato affermato che qualora l’azione di rivendicazione di un bene comune sia stata proposta da uno solo dei comproprietari, anche nell’interesse degli altri per la quota di comproprietà di costoro, ed il convenuto opponga l’esistenza di un legittimo titolo di detenzione costituito dall’autorizzazione al godimento di una quota-parte del bene rilasciatogli da un altro comproprietario, la condanna al rilascio può essere pronunciata soltanto per la quota del bene la cui detenzione risulti non giustificata e perciò abusiva.
7.Questa condanna al rilascio della quota del bene comune, in caso di mancata volontaria esecuzione della sentenza, va eseguita coattivamente nelle forme dell’esecuzione forzata per rilascio, se si tratta di beni immobili, e qualora vi siano sugli immobili diritti personali di godimento a favore di terzi, osservandosi il disposto del 2° comma, ultima parte, art. 608 c. p. c., per cui l’ufficiale giudiziario deve ingiungere ai condetentori (qualificati) di riconoscere il compossessore, fermo il contratto ed il conseguente costituito rapporto tra i predetti ed il compossessore concedente nei loro confronti (cfr. Cass. 22/01/1987, n. 572, in tema di spoglio di compossessore).
Ne consegue che nella fattispecie sussisteva l’interesse ad agire degli attori.
8.Pertanto vanno accolti, per quanto di ragione, il primo e secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, e va rigettato il ricorso incidentale.
L’impugnata sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla corte di appello di Torino, la quale si conformerà ai seguenti principi di diritto:
1)Ritenuta l’ammissibilità della locazione a terzo di quota di bene comune da parte del titolare di detta quota, questi per fare valere le azioni nascenti dal contratto di locazione, non deve richiedere e ottenere il consenso anche degli altri comproprietari, non essendo nella specie applicabile la norma dell’art.1105 c.c., bensì la norma di cui all’art. 1103 c.c., per cui ciascun partecipante alla comunione può cedere ad altri il godimento della cosa nei limiti della sua quota.
2)La sentenza che accerti la scadenza del termine di locazione o che pronunzi la risoluzione del contratto, condanna il conduttore al rilascio in favore del comproprietario-locatore della quota locata del bene comune (se in questi termini vi è stata domanda), senza che a ciò sia di impedimento la circostanza che il conduttore detenga per altro titolo la restante parte del bene comune, poiché in questo caso si realizza un’ipotesi di condetenzione del bene tra i due soggetti.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi. Accoglie i primi due motivi del ricorso principale, per quanto di ragione, assorbito il terzo. Rigetta il ricorso incidentale.Cassa, in relazione ai motivi accolti, l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di Cassazione, alla Corte di appello di Torino.
Così deciso in Roma, lì 4 novembre 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 5 GEN. 2005